Vai ai contenuti

Santi del 24 Luglio

Il mio Santo > I Santi di Luglio

*Beato Antonio Torriani (Della Torre) da L'Aquila (24 Luglio)

Milano, 1424 - L'Aquila, 24 luglio 1494
Studiò medicina nell'università di Pavia. Contro la volontà dei suoi si fece religioso agostiniano. Nel 1458 andò pellegrino a San Giacomo di Compostella con l'intenzione di curare gli infermi. Si trattenne in Galizia fino al 1464; da qui iniziò un viaggio apostolico predicando per circa 10 anni in diverse parti della Spagna, della Francia e d'Italia.
Nel 1474 venne destinato al convento de L'Aquila, dove morì il 24 luglio del 1494 dopo aver diretto per 18 anni le monache agostiniane del monastero di Santa Lucia e aver fondato un sodalizio di Terziarie agostiniane presso la chiesa di Sant'Agostino. Si distinse particolarmente nella cura degli infermi e dei poveri e nel promuovere la concordia.

Martirologio Romano: All’Aquila, Beato Antonio Torriani, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, medico dei corpi e delle anime.
Antonio nasce a Milano dalla nobile famiglia dei Della Torre verso il 1424.
Avviato agli studi, si laurea in medicina a Pavia ed esercita per alcuni anni la professione medica a Milano, dove, conosciuti gli Agostiniani del celebre convento di San Marco, chiede di entrare nell'Ordine.
Sempre a Milano, completata la necessaria formazione, riceve l’ordinazione sacerdotale.
Poco dopo viene trasferito nel convento San Nicolò di Foligno, dove diviene zelante promotore della devozione alla Madonna, da cui riceve diversi favori spirituali.
Lo troviamo in seguito dedito a pii pellegrinaggi. Da Foligno si porta al santuario di Loreto e molto probabilmente si ferma a Tolentino, luogo già celebre per la santità di S. Nicola e punto di passaggio obbligato per raggiungere la costa adriatica.
Nel 1454 è a Roma presso la tomba degli Apostoli; da qui si porta al santuario di S. Giacomo di Compostella. Con i suoi spostamenti si diffonde anche la fama della sua santità, in particolare della sua carità verso gli infermi e gli ammalati, a servizio dei quali mette a disposizione la sua competenza medica.
Nel 1474 viene mandato a L'Aquila per comporre le discordie che lacerano la città. Qui emergono la sua saggezza e la sua opera di evangelizzatore e di padre spirituale. Per le sue virtù e le sue preghiere e penitenze spesso fioriscono i miracoli, che gli attirano tanta stima da parte del popolo.
Per 18 anni guida spiritualmente il monastero agostiniano di S. Lucia, portandolo ad alti livelli di spiritualità.
A L'Aquila fonda le Ammantellate di S. Agostino, benemerita associazione che dura fino al 1809.
Muore il 24 luglio 1494. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di S. Agostino a L'Aquila, nel 1808 viene trasferito in quella di Collemaggio e nel 1838 in quella di S. Bernardo. Il culto viene confermato da Clemente XIII il primo luglio 1759.
Dal 1987 le sue reliquie si venerano nella Chiesa del Monastero Agostiniano S. Amico, insieme a quelle della Beata Cristina da l’Aquila. La sua memoria liturgica ricorre il 24 luglio. (Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Torriani da L'Aquila, pregate per noi.
Milano, 1424 - L'Aquila, 24 luglio 1494
Studiò medicina nell'università di Pavia. Contro la volontà dei suoi si fece religioso agostiniano. Nel 1458 andò pellegrino a San Giacomo di Compostella con l'intenzione di curare gli infermi. Si trattenne in Galizia fino al 1464; da qui iniziò un viaggio apostolico predicando per circa 10 anni in diverse parti della Spagna, della Francia e d'Italia.
Nel 1474 venne destinato al convento de L' Aquila, dove morì il 24 luglio del 1494 dopo aver diretto per 18 anni le monache agostiniane del monastero di Santa Lucia e aver fondato un sodalizio di Terziarie agostiniane presso la chiesa di Sant' Agostino. Si distinse particolarmente nella cura degli infermi e dei poveri e nel promuovere la concordia.
Martirologio Romano: All’Aquila, Beato Antonio Torriani, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, medico dei corpi e delle anime.
Antonio nasce a Milano dalla nobile famiglia dei Della Torre verso il 1424.
Avviato agli studi, si laurea in medicina a Pavia ed esercita per alcuni anni la professione medica a Milano, dove, conosciuti gli Agostiniani del celebre convento di S. Marco, chiede di entrare
nell'Ordine.
Sempre a Milano, completata la necessaria formazione, riceve l’ordinazione sacerdotale.
Poco dopo viene trasferito nel convento S. Nicolò di Foligno, dove diviene zelante promotore della devozione alla Madonna, da cui riceve diversi favori spirituali.
Lo troviamo in seguito dedito a pii pellegrinaggi. Da Foligno si porta al santuario di Loreto e molto probabilmente si ferma a Tolentino, luogo già celebre per la santità di San Nicola e punto di passaggio obbligato per raggiungere la costa adriatica. Nel 1454 è a Roma presso la tomba degli Apostoli; da qui si porta al santuario di S. Giacomo di Compostella. Con i suoi spostamenti si diffonde anche la fama della sua santità, in particolare della sua carità verso gli infermi e gli ammalati, a servizio dei quali mette a disposizione la sua competenza medica.
Nel 1474 viene mandato a L'Aquila per comporre le discordie che lacerano la città. Qui emergono la sua saggezza e la sua opera di evangelizzatore e di padre spirituale. Per le sue virtù e le sue preghiere e penitenze spesso fioriscono i miracoli, che gli attirano tanta stima da parte del popolo.
Per 18 anni guida spiritualmente il monastero agostiniano di S. Lucia, portandolo ad alti livelli di spiritualità.
A L'Aquila fonda le Ammantellate di Sant'Agostino, benemerita associazione che dura fino al 1809.
Muore il 24 luglio 1494. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di S. Agostino a L'Aquila, nel 1808 viene trasferito in quella di Collemaggio e nel 1838 in quella di San Bernardo. Il culto viene confermato da Clemente XIII il primo luglio 1759.
Dal 1987 le sue reliquie si venerano nella Chiesa del Monastero Agostiniano S. Amico, insieme a quelle della Beata Cristina da l’Aquila. La sua memoria liturgica ricorre il 24 luglio.

(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Torriani da L'Aquila, pregate per noi.

*San Baldovino (Balduino) da Rieti - Abate (24 Luglio)

m. 1140
Etimologia:
Baldovino = compagno ardito, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Rieti, San Baldovino, abate, che fu discepolo di San Bernardo nel monastero di Chiaravalle e fu da lui mandato in questa città per fondarvi e reggervi il cenobio di San Matteo di Montecchio.
Figlio di Berardo X, conte dei Marsi, e fratello di Rainaldo, abate di Montecassino, eletto cardinale da Innocenzo II nel 1138, Baldovino si fece monaco a Clairvaux sotto la guida e il magistero di San Bernardo. Questi nel 1130 lo inviò a presiedere l'antico monastero di San Matteo, situato presso il lago di Montecchio, ad un'ora di distanza da Rieti. Qui Baldovino incontrò molte difficoltà che, peraltro, maturarono i suoi meriti.
San Bernardo lo consolò e incoraggiò con l'Ep. CCI, scritta forse l'anno successivo. Morì nel 1140 e venne seppellito nella cattedrale di Rieti, forse dal suo confratello Dodone, che era vescovo della città. La venerazione di cui fu circondata la sua memoria e il culto resogli fin da principio testimoniano la sua santa vita e la ricchezza delle grazie e dei miracoli, attraverso i quali Dio l'aveva glorificato.
Le sue reliquie sono conservate sotto la mensa dell'altare marmoreo della cappella detta "delle Grazie". Ma il capo si conserva in un busto argenteo raffigurante il beato e nelle grandi solennità
viene esposto sull'altare maggiore della cattedrale, insieme ad altri reliquiari.
Nel 1701 la S. Congregazione dei Riti approvò l'Ufficio del beato con lezioni storiche, colletta propria e Messa de communi Abbatum.
A Rieti e nella diocesi la sua festa viene celebrata il 21 agosto; lo stesso giorno lo ricordano i Bollandisti. I Cistercensi ne celebrano l'Ufficio il 24 luglio, e il Menologium Cisterciense lo commemora il 15 dello stesso mese; altri assegnano il suo dies natalis al 2, al 10 o all'11 agosto.
Baldovino è comunemente detto abate di S. Pastore, poiché l'abbazia di San Matteo, troppo esposta alle pestilenze provocate dal ristagno delle acque del Velino nella piana reatina, venne trasferita presso la chiesa di S. Pastore, situata nelle vicinanze di Contigliano, nel territorio di Greccio. La fama della nuova abbazia di S. Pastore, inaugurata ufficialmente nel 1255, oscurò quella dell'antica intitolata a San Matteo, di cui era la succedanea.
Del complesso abbaziale di S. Pastore ora rimangono solo imponenti rovine della chiesa e di gran parte del monastero.

(Autore: Balduino Bedini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Baldovino da Rieti, pregate per noi.

*Santi Boris e Gleb di Russia - Martiri (24 Luglio)

sec. XI
Principi russi, figli di San Vladimiro, assassinati per ordine del loro fratello, Svjatopolk.
Etimologia: Boris (Bernardo, nelle lingue slave)

Emblema: Palma
Martirologio Romano: In Russia, Santi Boris e Gleb, martiri, che, principi di Rostov e figli di san Vladimiro, preferirono ricevere la morte piuttosto che opporsi con la forza al fratello Svjatopolk: Boris conseguì la palma del martirio sul fiume Don vicino a Pereyaslavl, Gleb poco dopo sul fiume Dneper vicino a Smolensk.
Boris e Gleb nacquero da San Vladimiro, granduca di Kiev, e da Anna, sorella di Basilio II il Bulgaroctono.
Il granduca, primo principe cristiano della Russia, onorato dalle Chiese orientali, morì il 15 luglio 1015 dopo aver diviso il territorio fra i dodici figli.
Sviatopolk, però, che aveva ereditato il granducato di Kiev, si rifiutò di eseguire la volontà paterna e incaricò alcuni sicari di sterminare tutti gli altri fratelli.
Boris, principe di Rostov, fu ucciso nove giorni dopo la morte di Vladimiro (24 luglio 1015), mentre tornava dalla campagna condotta vittoriosamente contro le genti che abitavano il territorio compreso fra le foci del Don e del Danubio e le rive del Mar Nero.
Secondo un cronista, Boris avrebbe impedito alle sue truppe di levare le armi contro i messi di Sviatopolk, dicendo di non voler nuocere al fratello che ormai nel suo cuore aveva preso il posto del padre.
Gleb fu assassinato durante il viaggio di ritorno a Kiev, il 5 settembre dello stesso anno Sembra che Sviatopolk avesse incaricato alcuni fedeli di abbordare il battello di Gleb presso Smolensk, mentre risaliva il Dnieper, e avesse corrotto il cuoco di bordo, autore materiale del delitto.
In seguito, nel 1019, Jaroslav, primogenito di Vladimiro e principe di Novgorod, vinse Sviatopolk e si impossessò della città di Kiev che governò per trentacinque anni.
Nel 1020 trasferì i corpi di Boris e Gleb nella chiesa di San Basilio a Visgorod, li onorò come martiri per la tragica morte e incrementò la diffusione del loro culto.
La festa comune di Boris e Gleb, che col Battesimo avevano assunto i nomi di Romano e David, si celebra il 2 maggio, giorno anniversario di una traslazione delle reliquie che ebbe luogo nel 1072.
La festa particolare di Boris si celebra il 24 luglio, quella di Gleb il 5 settembre.
Il metropolita greco di Kiev, già nel secolo XII, fu invitato a procedere a una canonizzazione formale.
I nomi di Boris e Gleb aprono la lista dei santi nazionali della Chiesa russa, mentre la Chiesa rutenacattolica li accettò nel suo calendario perché vissero prima dello scisma.
Per i russi, Boris e Gleb, campioni della non-violenza che preferirono morire per non far male ad altri, appartengono alla categoria degli "strastotèrpzi", o "soffritori di passioni", come i martiri propriamente detti.
Questo è un modo tipicamente russo di concepire la santità, del quale, però, si trovano numerosi esempi nella storia della spiritualità cristiana. Boris e Gleb sono sempre abbinati, come Cosma e Damiano, Crispino e Crispiniano.
I loro nomi finìrono col fondersi in Borisoglebsk, nome di numerosi monasteri e villaggi.
Una delle più belle icone di Alipio l'Iconico (sec: XII) illustrava la "passione" di Boris e Gleb e, secondo Sementovsky, si trovava a Santa Sofia in Costantinopoli ancora nel secolo XIII.

(Autore: Ivan Sofranov – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Boris e Gleb di Russia, pregate per noi.

*Beato Candido Castan San José - Martire (24 Luglio)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Benifayó, Spanga, 5 agosto del 1894 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936  
Beatificato il 28 ottobre 2007.

Dati biografici
Cándido Castán San José nacque a Benifayó, provincia e diocesi di Valencia, il 5 Agosto del 1894. Era un padre di famiglia che da svariati anni viveva con moglie e figli a Pozuelo de Alarcón (Madrid), nella colonia di San José.
Impiegato delle ferrovie della Compagnia del Nord della Spagna, aveva studiato al liceo nel colleggio dei F.lli del Sacro Cuore a Miranda de Ebro, dove sue padre era stato mandato come Capostazione. In seguito affrontò gli  studi specialistici relativi all’ambito ferroviario. Nel 1936 prestava servizio nela suddetta compagnia come capo ufficio. Aveva due figli,Teresa, 15 anni, e José María, 7.
Cristiano coerente, militante cattolico, era a quel tempo Presidente  della Confederazione Nazionale di Operai Cattolici. Così come era Presidente dei ferrovieri cattolici, sezione di  Madrid-Nord, e affiliato all’Adorazione Notturna. Come si unì al “martirologio oblato”? Perchè fu portato via da casa sua e recluso, insieme con altri laici cattolici, nel convento dei Missionari Oblati, tempestivamente trasformato in prigione, e assassinato con il primo gruppo di Oblati. Tra i suoi discendenti figurano un nipote sacerdote e una nipote religiosa.

Detenzione e martirio
Il 18 luglio subisce nella propria casa una prima perquisizione. Sua figlia Teresa fu testimone diretta della sua detenzione e ce ne rende una viva descrizione: “Si presentarono in casa alcuni miliziani, con il pretesto di trovare delle armi, che ovviamente non esistevano… quando terminarono, gli ordinarono di non muoversi da casa. ”Quattro giorni dopo, il 23 luglio, verso mezzogiorno, fu obbligato da un gruppo di “Miliziani del comitato rivoluzionario di Pozuelo” ad abbandonare la propria casa”.
Fu condotto come prigioniero nella casa dei Missionari Oblati. Rinchiuso nel convento degli stessi, al tramonto del 23 Luglio ricevette la visita della moglie che gli portava da mangiare. Quella stessa notte tra il 23 e il 24 luglio venne portato via dal convento con altri 7 Oblati e giustiziato con loro a Casa de Campo, un parco situato tra Pozuelo e Madrid.

Testimonianze
Interessantissima e dettagliata la testimonianza di sua figlia. Riportiamo alcuni paragrafi:
“I miei genitori si sposarono il 4 giugno del 1919. L’ambiente familiare era staordinario e laddove andavano i miei genitori, andavamo io e mio fratello. Siamo stati educati in un clima di amore e religiosità, dove nella familia, da parte dei miei genitori, ci venne insegnato di pregare e amare Dio sopra ogni cosa e a compiere opere di carità. Ho un vivo ricordo della grande immagine del Sacro Cuore di Gesù che avevamo sia nella casa di Madrid che in quella di Pozuelo. Ricordo che da piccola, quando non mi comportavo bene, mio padre mi mandava a inginocchiarmi davanti al Sacro Cuore e chiedergli perdono.
Preoccupati per la nostra educazione religiosa, i miei genitori ci portarono a scuole religiose, sia a Madrid che a Pozuelo.
Anche in casa mia si viveva un clima profondo di religiosità. Mio padre pregava il rosario tutti i giorni ed era devotissimo alla Santissima Vergine, insegnandoci che era la nostre Madre Celeste.
Nel pomeriggio visitava il Santissimo. Molte volte io lo accompagnavo, in altre occasioni diceva di essere stato in questa o quella Chiesa.
Era membro della Adorazione Notturna. Moltissimo devoto al Sacro Cuore di Gesù, lo intronizzò solennemente in casa mia. Questa religiosità mio padre non solo la viveva nella sua intimità, ma è stato anche un divulgatore della fede Cattolica.
Quando ci trasferimmo a Pozuelo, ricordo che promosse , in collaborazione con altri vicini, la costruzione di una cappella, che esiste ancora oggi, in onore di San Giuseppe, per ascoltare la messa
la Domenica. Dovevamo portarci le sedie perchè non solo non c’erano i banchi, ma neppure il pavimento.
In vista della brutta piega che le cose stavano prendendo, ricordo che mia madre propose a mio padre (a seguito dell’arresto domiciliare) di fuggire a Benicarló, con la famiglia di mia madre, e si nascondesse lì. Mio padre si rifiutò dicendo che non doveva affatto nascondersi perchè non aveva fatto nulla di male.
Il 23 luglio, verso mezzogiorno, si presentarono di nuovo i militanti per arrestare e portar via mio padre. In casa c’eravamo solo lui ed io, poiché mia madre era uscita a fare la spesa, accompagnata dal mio fratello piccolo.       Mio padre mi diede la fede nuziale e le chiavi di casa dicendomi di consegnarle a mia madre. Lo portarono al convento dei Padri Oblati e nel tragitto incontrò mia madre e mio fratello che stavano ritornando dalla spesa. Mia madre gli preparò la cena e la portò al convento. Il giorno dopo gli preparò la colazione ma quando gliela portò, già non c’era più.
In casa mia, mia madre considerò sempre mio padre un martire, perchè sapeva che l’unica causa della sua morte è stata la Religione.
Martire della fede o avversario politico?

Questo è un interrogativo che alcuni Consulenti del Tribunale Vaticano prospettarono. Questo diede al Postulatore l’occasione di studiare più a fondo questa Causa per cancellare questo dubbio. Ammettiamo che le testimonianze dei suoi figli , “per sentito dire”, lascino uno spiraglio di dubbio. In effetti Candido Castàn era stato “nominato” (non eletto) “assembleista” durante la dittatura del Generale Primo de Rivera e  aveva svolto la funzione di Consigliere interno supplente nel Comune di Madrid. Tuttavia, non era iscritto a nessun partito, nè fondò alcun sindacato cattolico: il Generale aveva soppresso i primi e sospeso questi ultimi. Forse faceva parte o frequentava qualche Circolo Cattolico di ferrovieri, per la sua formazione Cristiana.
Ad ogni modo, dal momento in cui si trasferì con la sua famiglia a Pozuelo, nel 1930, e dopo le dimissioni e l’auto-esilio del Generale, si allontanò totalmente da tutti gli incarichi sociali che avesse potuto svolgere precedentemente nel Municipio di Madrid. Vi soono inoltre dei documenti che attestano che il Comitato rivoluzionario di Pozuelo, che lo arrestò e lo uccise, non era a conescenza di queste informazioni, dato che nella lista dei giustiziati compare sempre e solo come “impiegato ferroviario” e apolitico.
Candido Castàn era molto conosciuto a Pozuelo, località che allora contava massimo duemila abitanti. Il quartiere della stazione, in cui viveva e la cui Chiesa frequentava, non raggiungeva i mille abitanti. Tutti lo conoscevano come controllore dei treni che circolavano da Pozuelo a Madrid.
Era sicuramente conosciuto per essere un praticante e fervente cattolico. Dato che non poteva partecipare all’Adorazione Notturna, come quando viveva a Madrid, visitava il Santissimo tutte le sere nella Cappella del Carmelo (oggi Parrocchia) nel quartiere della Stazione. Nella Clina di San José, in cui viveva con la sua famiglia, fu uno dei più attivi promotori per la costruzione di una piccola cappella in onore di San José, che rendesse più facile al circondario partecipare alla Messa domenicale.
I Gesuiti di Madrid, con cui Candido aveva un buon rapporto, collaborarono alla realizzazione di questa opera, donandogli ornamenti e contenitori di vetro sacri.
Educato nel Collegio dei religiosi dei Sacri Cuori, a Miranda di Ebro (Burgos), dove suo padre era Capostazione, conservò pure con loro l’amicizia e un buon rapporto.
Nel 1931, durante la prima ondata della persecuzione religiosa, in cui vennero bruciati chiese e conventi, accolse in casa sua tre membri della ormai sciolta Compagnia del Gesù: due sacerdoti e un fratello.
Frequentava il collegio di San José de Cluny, in cui studiavano le sue figlie. Partecipava con la sua famiglia agli eventi culturali e alle feste che avevano luogo nel convento degli Oblati, quando, in occasione delle festività più importanti, gli scolastici rappresentavano “Atti Sacramentali”.
Possiamo ipotizzare che frequentasse pure il gruppo di cattolici praticanti che si riuniva insieme al Servo di Dio P. José Vega. Questo zelante e quasi “temerario” sacerdote Oblato, sfidando la tragedia che sembrava imminente, li incorggiava a restare saldi nella fede, remando controcorrente nel clima antireligioso della II Repubblica.
Era un grande devoto del Sacro Cuore, che aveva solennemente intronizzato nella sua casa, la cui festa celebrava con i vicini proprio nella sua dimora.

Il corpo del delitto
Quando i miliziani del Comitato Rivoluzionario di Pozuelo andarono a perquisire la sua casa “in cerca di armi” (pretesto che usavano come scusa per entrare in conventi e case), trovarono quello che cercavano, il corpo del delitto: una grande immagine del sacro Cuore di Gesù, affiancata da due immagini più piccole, di San Giuseppe e di Santa Teresa, verso i quali professava una particolare devozione.
È chiaro che era uno spiccato e conosciuto “nemico” che bisognava sconfiggere per la sua fede profonda e per le sue pratiche religiose, ben conosciute in tutto il vicinato.
Tramite un serio studio della documentazione, il Postulatore della Causa manifestava il frutto della sua indagine con queste parole:
“Posso concludere in coscienza che, a mio giudizio, il Servo di Dio Cándido Castán San José è stato un laico cattolico coerente con la sua fede, di fervente pratica religiosa. Di conseguenza, questo Servo di Dio fu giustiziato, così come i 22 presunti Martiri Oblati, a causa della sua fede e per la sua conosciuta pratica religiosa di questa stessa fede cristiana, e non per ragioni politiche”.
Più di uno ci ha chiesto perchè gli Oblati hanno incluso nella Causa dei propri Martiri questo padre di famiglia, non essendo egli un religioso e non facendo parte del loro Istituto.
La risposta del Postulatore è chiara e severa: la vigilia del suo martirio lo rinchiusero nel convento degli Oblati, lo fucilarono quella stessa notte con il primo gruppo di religiosi e, senza dar luogo a dubbi, per lo stesso motivo: “in odium fidei”, per la sua chiara testimonianza di coerenza con la fede che professava e viveva. Se non fosse stato incluso, sarebbe stata una ingiustizia imperdonabile. E uno si domanda: Non potrebbe essere proclamato “laico oblato associato”? E magari loro patrono e protettore.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Candido Castan San José, pregate per noi.

*Beato Cecilio Vega Dominguez Suddiacono - Religioso e Martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)
Villamor de Órbigo, Spagna, 8 settembre 1913 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Dati biografici
Nacque a Villamor de Orbigo, provincia di Leòn e diocesi di Astorga l’8 settembre 1913. I suoi genitori furono Juan e Micaela, umili lavoratori che vivevano del lavoro nei campi. Di buona condotta morale e caritatevoli verso i compaesani. Era una famiglia numerosa,  nove figli, e profondamente cristiana. Cecilio iniziò il noviziato il 14 agosto 1930. Il giorno 15 dell’anno successivo fa la sua prima oblazione e passa a Pozuelo per proseguire gli studi ecclesiastici.
Il 23 dicembre 1934 fa la sua oblazione perpetua e prende gli ordini minori (attuali ministeri).
Anche lui, come Manuel Gutierrez, dopo due giorni di incertezza, ansia e prepotenze  nel suo stesso convento, viene portato via dalla propria casa la notte del 24 luglio 1936 e fucilato all’alba
a Casa de Campo. Aveva 23 anni. Era suddiacono ed era già alle porte del diaconato e del sacerdozio.
Testimonianze
Sua sorella Manuela ci racconta: “avevamo la Sagrada Familia (cappellina portatile) che veniva e che viene tutti i mesi per le case. Recitavamo il Rosario per tutto il tempo e, in estate, quando c’era molto lavoro da fare, nostro padre ci recitava il Rosario della Buona Morte, che era più breve. Ed ovviamente andavamo sempre a Messa.”
Quando era al seminario minore andava in vacanza in estate. Faceva da catechista nella parrocchia e lavorava con suo padre nel campo. Nella sua breve vita, in Cecilio emergono la sua costanza e tenacia contro difficoltà che continuava a trovare negli studi a causa di un incidente sfortunato nel lavoro agricolo che lo causò la perdita di un occhio.
Uomo dal gran cuore, docile, nobile, pio e franco. Di buon spirito nel convivere con gli altri. Durante l’anno di noviziato si dedica con entusiasmo ai compiti propri di quell’anno di intensa formazione per la vita religiosa. Questo atteggiamento suscita nei suoi formatori la ferma speranza che sarebbe diventato un buon religioso e zelante missionario. Sua sorella sottolinea la sua devozione verso la Vergine Santissima e l’Eucarestia.

Martirio
Sua nipote Virginia Domìnguez e sua sorella Manuela ci raccontano di in una lettera nella quale viene messa in evidenza la sua disposizione al martirio.
In questo scritto, rispondendo all’invito di suo padre di ritornare a casa perchè la guerra sta per esplodere e saranno bruciati i conventi, Cecilio gli risponde che è disposto a morire e che non abbandonerà la comunità.
Peccato che questa lettera preziosa sia sparita durante un incendio.
Il processo del suo martirio è del tutto similare a quelli precedenti.

Abbiamo il suo certificato di morte.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Cecilio Vega Dominguez Suddiacono, pregate per noi.

*San Charbel (Giuseppe) Makhluf - Sacerdote, Eremita (24 Luglio)
1828 - 24 dicembre 1898

Martirologio Romano: San Charbel (Giuseppe) Makhlūf, sacerdote dell’Ordine Libanese Maronita, che, alla ricerca di una vita di austera solitudine e di una più alta perfezione, si ritirò dal cenobio di Annaya in Libano in un eremo, dove servì Dio giorno e notte in somma sobrietà di vita con digiuni e preghiere, giungendo il 24 dicembre a riposare nel Signore.
(24 dicembre: Ad Annaya in Libano, anniversario della morte di san Charbel (Giuseppe) Makhluf, la cui memoria si celebra il 24 luglio).        
Giuseppe Makhluf, nacque nel villaggio di Biqa ’Kafra il più alto del Libano nell’anno 1828. Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno. A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata “la grotta del santo”).
Egli pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei 23 anni, visto l’opposizione dello zio, quindi nel 1851 entrò come novizio nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine Maronita Libanese.
Cambiò il nome di battesimo Giuseppe in quello di Sarbel che è il nome di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano.
Trascorso il primo anno di noviziato fu trasferito da ‘Annaya al monastero di Maifuq per il secondo anno di studi. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853 fu mandato al Collegio di Kfifan dove insegnava anche Ni’matallah Kassab la cui Causa di beatificazione è in corso.
Nel 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero da ‘Annaya dove stette per quindici anni; dietro sua richiesta ottenne di farsi eremita nel vicino eremo di ‘Annaya, situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni.
Mentre celebrava la Santa Messa in rito Siro-maronita, il 16 dicembre 1898, al momento della sollevazione dell’ostia consacrata e del calice con il vino e recitando la bellissima preghiera eucaristica, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo.
A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba, questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido, rimesso in un’altra cassa fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana.
Nel 1927, essendo iniziato il processo di beatificazione, la bara fu di nuovo sotterrata. Nel 1950 a febbraio, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido, e supponendo un’infiltrazione d’acqua, davanti a tutta la Comunità monastica fu riaperto il sepolcro; la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso del beato Sarbel e il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950 ad aprile le superiori autorità religiose con una apposita commissione di tre noti medici riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi lì
(24 dicembre: Ad Annaya in Libano, anniversario della morte di san Charbel (Giuseppe) Makhluf, la cui memoria si celebra il 24 luglio).        
Giuseppe Makhluf, nacque nel villaggio di Biqa ’Kafra il più alto del Libano nell’anno 1828. Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno. A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata “la grotta del santo”).
Egli pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei 23 anni, visto l’opposizione dello zio, quindi nel 1851 entrò come novizio nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine Maronita Libanese.
Cambiò il nome di battesimo Giuseppe in quello di Sarbel che è il nome di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano.
Trascorso il primo anno di noviziato fu trasferito da ‘Annaya al monastero di Maifuq per il secondo anno di studi. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853 fu mandato al Collegio di Kfifan dove insegnava anche Ni’matallah Kassab la cui Causa di beatificazione è in corso.
Nel 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero da ‘Annaya dove stette per quindici anni; dietro sua richiesta ottenne di farsi eremita nel vicino eremo di ‘Annaya, situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni.
Mentre celebrava la Santa Messa in rito Siro-maronita, il 16 dicembre 1898, al momento della sollevazione dell’ostia consacrata e del calice con il vino e recitando la bellissima preghiera eucaristica, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo.
A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba, questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido, rimesso in un’altra cassa fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana.
Nel 1927, essendo iniziato il processo di beatificazione, la bara fu di nuovo sotterrata. Nel 1950 a febbraio, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido, e supponendo un’infiltrazione d’acqua, davanti a tutta la Comunità monastica fu riaperto il sepolcro; la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso del beato Sarbel e il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950 ad aprile le superiori autorità religiose con una apposita commissione di tre noti medici riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi lì
portati da parenti e fedeli ed infatti molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione. Si sentiva da più parti gridare Miracolo! Miracolo! Fra la folla vi era chi chiedeva la grazia anche non essendo cristiano o non cattolico.
Il papa Paolo VI il 5 dicembre 1965 lo beatificò davanti a tutti i Padri Conciliari durante il Concilio Ecumenico Vaticano II, per canonizzarlo infine il 9 ottobre 1977.
Preghiera
O grande taumaturgo San Charbel, che hai trascorso la vita in solitudine in un eremo umile e nascosto, rinunciando al mondo e ai suoi vani piaceri, e ora regni nella gloria dei Santi, nello splendore della Santissima Trinità, intercedi per noi.
Illuminaci mente e cuore, aumenta la nostra fede e fortifica la nostra volontà. Accresci il nostro amore verso Dio e verso il prossimo. Aiutaci a fare il bene e ad evitare il male. Difendici dai nemici visibili e invisibili e soccorrici per tutta la nostra vita.
Tu che compi prodigi per chi ti invoca e ottieni la guarigione di innumerevoli mali e la soluzione di problemi senza umana speranza, guardaci con pietà e, se è conforme al divino volere e al nostro maggior bene, ottienici da Dio la grazia che imploriamo….., ma soprattutto aiutaci ad imitare la tua vita santa e virtuosa. Amen.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Charbel Makhluf, pregate per noi.

*Santa Cristina di Bolsena - Martire (24 Luglio)

Bolsena, IV secolo
Le varie versioni della «Passio» di Cristina sono discordanti.
Quelle greche la dicono originaria di Tiro, le latine di Bolsena.
A suffragare questa seconda ipotesi sta il fatto che nella cittadina laziale – di cui la santa è patrona – fin dal IV secolo si è sviluppato un cimitero sotterraneo intorno al sepolcro di una martire Cristina.
Il racconto della «Passio» è considerato favoloso e narra di una undicenne che il padre fece rinchiudere in una torre con dodici ancelle per preservarne la bellezza.
In realtà questa misura venne adottata dal genitore, di nome Urbano, ufficiale dell’imperatore, per costringere la figlia ad abiurare la fede che aveva abbracciato: il cristianesimo.
Alla morte del padre – che già aveva fatto più volte torturare la figlia, pur di farla ritornare agli antichi culti – le autorità si accanirono ancora di più su di lei, mettendola a morte. (Avvenire)

Patronato: Mugnai
Etimologia: Cristina = seguace di Cristo
Emblema: Palma, Ruota
Martirologio Romano: A Bolsena nel Lazio, Santa Cristina, vergine e martire.
Cristina fa parte di quel gruppo di Sante martiri, la cui morte o i supplizi subiti si imputano ai padri, talmente snaturati e privi di amore, da infliggere a queste loro figlie i più crudeli tormenti e dando loro la morte, essi che l’avevano generate alla vita.
Sono un po’ interdetto davanti a questi casi, come ad esempio per Santa Barbara, perché credo che sia frutto di tradizioni agiografiche di un tempo lontano, in cui si intendeva impressionare il devoto con racconti forti.
Da scavi archeologici eseguiti fra il 1880 e il 1881 nella grotta situata sotto la Basilica di Santa Cristina a Bolsena, si è accertato che il culto per la martire era già esistente nel IV secolo; dal fondo della grotta-oratorio si apre l’ingresso alle catacombe, che contengono una sua statua giacente in terracotta dipinta e il sarcofago dove furono ritrovate le reliquie del corpo della Santa.
Al tempo dell’imperatore Diocleziano (243-312) la fanciulla di nome Cristina, figlia del ‘magister militum’ di Bolsena, Urbano, era stata rinchiusa dal padre insieme con altre dodici fanciulle, in una torre affinché venerasse i simulacri degli dei come se fosse una vestale.
Ma l’undicenne Cristina in cuor suo aveva già conosciuto ed aderito alla fede cristiana, si rifiutò di venerare le statue e dopo una visione di angeli le spezzò.
Invano supplicata di tornare alla fede tradizionale, fu arrestata e flagellata dal padre magistrato, che poi la deferì al suo tribunale che la condannò ad una serie di supplizi, tra cui quello della ruota sotto la quale ardevano le fiamme.
Dopo di ciò fu ricondotta in carcere piena di lividi e piaghe; qui la giovane Cristina venne consolata e guarita miracolosamente da tre angeli scesi dal cielo.
Risultato vano anche questo tentativo, lo snaturato ed ostinato padre la condannò all’annegamento, facendola gettare nel lago di Bolsena con una mola legata al collo.
Prodigiosamente la grossa pietra si mise a galleggiare invece di andare a fondo e riportò alla riva la fanciulla, la quale calpestando la pietra una volta giunta, lasciò (altro prodigio) impresse le impronte dei suoi piedi; questa pietra fu poi trasformata in mensa d’altare.
Di fronte a questo miracolo, il padre scosso e affranto morì, ma le pene di Cristina non finirono, perché il successore di Urbano, il magistrato Dione, infierì ancora di più.
La fece flagellare ma inutilmente, poi gettare in una caldaia bollente piena di pece, resina e olio, da cui Cristina uscì incolume, la fece tagliare i capelli e trascinare nuda per le strade della cittadina lagunare, infine trascinatala nel tempio di Apollo, gli intimò di adorare il dio, ma la fanciulla con uno sguardo fulminante fece cadere l’idolo riducendolo in polvere.
Anche Dione morì e fu sostituito dal magistrato Giuliano, che seguendo i suoi predecessori continuò l’ostinata opera d’intimidazione di Cristina, gettandola in una fornace da cui uscì ancora una volta illesa; questa fornace chiamata dal bolsenesi ‘Fornacella’, si trova a circa due km a sud della città; in un appezzamento di terreno situato fra la Cassia e il lago, nel Medioevo fu inglobata in un oratorio campestre.
Cristina fu indomabile nella sua fede, allora Giuliano la espose ai morsi dei serpenti, portati da un serparo marsicano, i quali invece di morderla, presero a leccarle il sudore, la tradizione meno realistica della leggenda, vuole che i serpenti si rivoltarono contro il serparo mordendolo, ma Cristina mossa a pietà, lo guarì.
Seguendo le ‘passio’ di martiri celebri come Sant' Agata, la leggendaria ‘Passio’ dice che Giuliano le fece tagliare le mammelle e mozzare la lingua, che la fanciulla scagliò contro il suo persecutore accecandolo.
Infine gli arcieri, come a San Sebastiano, la trafissero mortalmente con due frecce.
Questo il racconto leggendario della ‘Passio’ redatta non anteriore al IX secolo, il cui valore storico è quasi nullo, precedenti ‘passio’ greche sostenevano che Cristina, il cui nome latino significa “consacrata a Cristo”, fosse nata a Tiro in Fenicia, ma si tratta di un errore dovuto al fatto che la prima "passio" fu redatta in Egitto e che per indicare la terra degli Etruschi chiamati Tirreni dai Greci, si usava l’abbreviazione ‘Tyr’ interpretata erroneamente come Tiro.
Le reliquie ebbero anche loro un destino avventuroso, furono ritrovate nel 1880 nel sarcofago dentro le catacombe poste sotto la basilica dei Santi Giorgio e Cristina, chiesa risalente all’XI secolo e consacrata da Papa Gregorio VII nel 1077.
Le reliquie del corpo, anzi di parte di esso sono conservate in una teca, parte furono trafugate nel
1098 da due pellegrini diretti in Terrasanta, ma essi giunti a Sepino, cittadina molisana in provincia di Campobasso, non riuscirono più a lasciare la città con il loro prezioso carico, per cui le donarono agli abitanti.
Questo l’inizio del culto della santa molto vivo a Sepino, le reliquie costituite oggi solo da un braccio, sono conservate nella chiesa a lei dedicata; le altre reliquie furono traslate tra il 1154 e 1166 a Palermo, che proclamò la martire sua patrona celeste, festeggiandola il 24 luglio e il 7 maggio; la devozione durò almeno fino a quando non furono “scoperte” nel secolo XVII le reliquie di santa Rosalia, diventata poi patrona principale.
A Sepino, Santa Cristina viene ricordata dai fedeli ben quattro giorni durante l’anno
A Bolsena, Santa Cristina viene festeggiata con una grande manifestazione religiosa, la vigilia della festa il 23 luglio sera, nella oscurata piazza antistante la basilica, viene portato in processione il simulacro della santa posto su una ‘macchina’ a forma di tempietto, contemporaneamente sulla destra del sagrato si apre il sipario di un palchetto illuminato, dove un quadro vivente rappresenta in silenzio una scena del martirio e ciò si ripete in ogni piazza e su altrettanti piccoli palchi dove giunge la processione; la manifestazione è chiamata “I Misteri di Santa Cristina”.
La processione cui partecipa una folla di fedeli, si svolge per strade e piazze di Bolsena, finché arriva in cima al paese nella Chiesa del Santissimo Salvatore, lì la statua si ferma tutta la notte e la mattina del 24, giorno della festa liturgica di Santa Cristina, si riprende la processione di ritorno con le stesse modalità e giungendo infine di nuovo nella Basilica a lei dedicata.
I “Misteri” sono una manifestazione religiosa che sin dal Medioevo, onora alcuni santi patroni in varie città d’Italia specie del Centro.
Bisogna infine qui ricordare che la Basilica di Santa Cristina possiede l’altare che come già detto è formato dalla pietra del supplizio della martire e che proprio su quest’altare nel 1263 un sacerdote boemo, che nutriva dubbi sulla verità della presenza reale del Corpo e Sangue di Gesù nell’Eucaristia, mentre celebrava la Messa, vide delle gocce di sangue sgorgare dall’ostia consacrata, che si posarono sul corporale e sul pavimento, l’evento fu riferito al Papa Urbano IV, che si trovava ad Orvieto, il quale istituì l’anno dopo la festa del Corpus Domini.
La ‘passione’ di Santa Cristina ha costituito un soggetto privilegiato da parte degli artisti di ogni tempo, come Signorelli, Cranach, Veronese, Dalla Robbia, i quali non solo la rappresentarono in scene del suo martirio con i suoi simboli, la mola, i serpenti, le frecce, ma arricchirono con le loro opere di pittura, scultura e architettura, la basilica a lei dedicata, maggiormente dopo avvenuto il miracolo eucaristico.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Cristina di Bolsena, pregate per noi.

*Beata Cristina - l'Ammirabile (24 Luglio)
Martirologio Romano: A Sint-Truiden in Brabante, nell’odierno Belgio, Beata Cristina, vergine, detta la Mirabile, perché in lei nella mortificazione del corpo e nelle estasi mistiche il Signore operò meraviglie.
La Vita di Cristina, scritta da Tommaso di Cantimpré verso il 1232, è molto contestata nel suo valore storico, malgrado certe concordanze con testimonianze di Giacomo di Vitry (ed. in Acta SS. Iulii, V, Venezia 1748, pp. 650-60).
Semplice pastorella, verso il 1182, dopo una crisi di catalessi, la Santa decise di consacrarsi a Dio per una vita di penitenza.
Non sembra abbia fatto parte di una comunità di beghine: era una di quelle pie donne che vivevano
isolate e che si incontrano spesso all'inizio del sec. XIII.
Si ritirò dapprima nel castello di Looz, poi a Saint-Trond, dove morì nel convento di Santa Caterina.
La Vita le attribuisce una serie di azioni straordinarie, specialmente casi di levitazione che superano tutti gli altri conosciuti; ma se queste azioni avessero avuto veramente luogo, testimonierebbero piuttosto di una certa morbosità.
Le sue reliquie, conservate già a Nonnemielen, si trovano attualmente nella chiesa dei Redentoristi di Saint-Trond.

(Autore: Albert D'Haenens – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Cristina, pregate per noi.

*Beato Cristoforo di Santa Caterina (Cristoforo Fernández Valladolid) - Sacerdote, Fondatore (24 Luglio)
Mérida, Spagna, 25 luglio 1638 - Córdoba, Spagna, 24 luglio 1690
Fondatore della Congregazione Ospedaliera di Gesù Nazareno. Papa Benedetto XVI in data 20 dicembre 2012 ha riconosciuto un miracolo a lui attribuito ai fini della sua beatificazione.
Padre Cristoforo nasce a Mérida, nel sudest della Spagna, il 25 luglio 1638, da un’umile famiglia cristiana: sin da piccolo lavora nei campi per aiutare i genitori e gli altri 5 fratelli.
A 10 anni sente già con forza il richiamo di Dio: si reca di nascosto in un convento di Francescani chiedendo di poter diventare monaco.
I frati lo riportano a casa, dove la madre stava pregando disperata, dandolo per disperso.
Inizia a lavorare nell’ospedale di Nostra Signora della Pietà, gestito dai Fatebenefratelli, distinguendosi per la cura delicata dei malati. Sacerdote a 24 anni, diventa cappellano di un battaglione di fanteria.
E’ un’esperienza dura: confessa i soldati, assiste i feriti fino allo stremo. Più volte rischia di morire
sotto le bombe. Gli orrori della Guerra dei 30 anni (1618-1648) lo spingono ad una vita solitaria nel deserto di Bañuelo, dove resta due anni.
Nel silenzio della preghiera sente nel cuore il desiderio di cercare il volto di Cristo nei poveri, nei contadini, nelle donne umiliate, nei bambini abbandonati, nei malati: per loro, chiede l’elemosina percorrendo giorno e notte le strade di Cordova.
Un’esperienza che lo porta a fondare una nuova Congregazione d’ispirazione francescana: quella dei fratelli e delle sorelle ospedalieri di Gesù Nazareno e dell’omonimo ospedale a Cordova, sulla cui porta d’ingresso padre Cristoforo fa scrivere: "La mia Provvidenza e la tua fede terranno in piedi questa casa". Vuole assomigliare a Gesù che ha preso su di sé le sofferenze degli altri. Nell’ospedale cura i malati gratuitamente, accogliendo con amore anche quanti sono colpiti dalla peste. Durante un’epidemia di colera, incurante del contagio continua a curare e a dare coraggio: muore colpito a sua volta dal morbo il 24 luglio 1690 stringendo in petto un crocifisso.
Il giorno dopo, avrebbe compiuto 52 anni.
Padre Cristoforo era noto per le sue poche parole. Ma in tanti di lui dicevano: “Io imparo molto di più vedendo padre Cristoforo mentre chiede l’elemosina per strada, che sentendo molte prediche”.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Cristoforo di Santa Caterina, pregate per noi.

*San Declano - Vescovo (24 Luglio)

Martirologio Romano: A Árd Móre nella provincia di Munster in Irlanda, San Declano, venerato come primo vescovo di questa Chiesa.
I martirologi irlandesi celebrano la memoria di Declano (Declan), vescovo di Ardmore, nella contea irlandese di Waterford, al 24 luglio.
Secondo la tradizione Declano predicò in Irlanda prima dell'arrivo di San Patrizio, ma i dati a noi pervenuti danno una cronologia talmente contraddittoria da rendere tale affermazione poco suscettibile di prova o di confutazione.
E probabile che Declano sia stato il primo vescovo di Ardmore, che fu certamente sede episcopale ed importante centro ecclesiastico nei tempi più antichi.
Il contenuto dei suoi Atti è altamente leggendario e non merita fede: ma essi almeno testimoniano la straordinaria venerazione dalla quale Declano era circondato ad Ardmore e nel territorio circostante.
Tale devozione è rimasta fino al presente, specialmente nel giorno della sua festa, tuttora celebrata, in cui Ardmore diviene centro di numerosi pellegrinaggi.
Qui è anche conservata una rilevante collezione di testimonianze della vita ecclesiastica dei primi tempi ed è possibile che i più antichi frammenti risalgano al tempo di Declano.

(Autore: Patrick Corish - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Declano, pregate per noi.

*Beato Diego Martinez - Protomartire del Perù (24 Luglio)
+ Perù, 1536
Mercedario del convento di Cusco in Perù, il Beato Diego Martinez, proveniva dal convento di Panama e giunse all’impero degli incas con altri confratelli, i quali accompagnarono i conquistatori Francesco Pizzarro e Diego de Almagrò.
Chiamato Santo ancora vivente convertì tantissimi infedeli a Cristo e fra questi anche un Re idolatra triste per la malattia della moglie alla quale il mercedario restituì la salute.
Tuttavia portato da Dio al sommo delle virtù, ebbe la corona del martirio come primo a versare il sangue in terra peruviana nell’anno 1536.
L’Ordine lo festeggia il 24 luglio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Diego Martinez, pregate per noi.

*Beato Donato da Urbino - Francescano (24 Luglio)

La grande famiglia Francescana, durante i secoli trascorsi dalla sua fondazione, ha costellato la storia della Chiesa Cattolica da tanti suoi figli e figlie che hanno raggiunto la santità, in tutte le condizioni di vita religiosa vissuta.
Così pure si potrebbe dire non vi è Regione italiana che non abbia visto il fiorire di queste umili ed operose figure francescane; fra quelle che hanno onorato le Marche, annoveriamo il Beato Donato, nato ad Urbino nel XV secolo, era figlio di avvocato e questo ci fa capire la buona condizione sociale della famiglia.
Il padre lo trasferì a Padova a completare gli studi presso quella famosa Università, dove poi conseguì il titolo di Dottore in Medicina.
Per dare seguito alla vocazione allo stato religioso che avvertiva nel suo intimo, decise di entrare tra i Francescani dell’Osservanza, dove grazie ai suoi meriti morali e spirituali e alla sua cultura, fu nominato per ben cinque volte Ministro della Provincia Marchigiana.
Dopo una vita degna di venerazione e di esempio per i suoi confratelli, si spense nel 1504 nel convento francescano di San Bernardino di Urbino, dove le sue reliquie riposano sotto l’altare del Crocifisso.
É commemorato ad Urbino e nell’Ordine Francescano il 24 luglio.
Il nome Donato era anticamente un soprannome, è divenuto nell’ambito cristiano un nome individuale, solitamente attribuito ad un figlio molto atteso e desiderato.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Donato da Urbino, pregate per noi.

*Beato Emanuele Gutierrez Martin - Suddiacono, Religioso e Martire (24 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Fresno del Río, Spagna, 1 gennaio 1913 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936

Beatificato il 17 dicembre 2011.
Dati biografici
Nacque il 1 gennaio 1913 a Fresno del Rio, provincia di Palencia e, quindi, diocesi di León. Fresno, situato sulle sponde del fiume Carrión, tra Guardo e Saldaña, si colloca in un territorio prevalentemente agricolo. Manuel nasce e vive in una famiglia numerosa. I suoi genitori, Buenaventura e Filiberta, sono lavoratori modesti e con profonde convinzioni e pratiche religiose.
Testimonianze
Non abbiamo molte testimonianze. Però, a quanto dicono i suoi formatori nei rapporti ufficiali, Manuel era un uomo dotato di talento, equilibrato e con una buona memoria. Negli esami riceveva risultati quasi sempre brillanti. Gli piaceva la musica vocale ed era dotato di una bella voce. Come virtù, dicevano di lui che era docile, ligio e franco con i suoi superiori, affabile con gli altri, cosciente dei propri difetti e impegnato a lavorare per superarli.
Amante della sua vocazione e della Congregazione. Buon compagno, fedele e ligio alla Regola, sempre con spirito comunitario.
Anche Manuel aveva finito il terzo anno di teologia. Era Suddiacono e aspettava di essere ordinato sacerdote entro pochi mesi; ma “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, nè le vostre vie sono le mie vie” dice il Signore.

Martirio
Il processo del suo martirio è simile a quello degli altri Oblati di Pozuelo. Le tappe della sue breve Via Crucis furono le seguenti:
Viene catturato e fatto prigioniero nella propria casa-seminario con tutta la comunità Oblata. Quella stessa notte viene portato via dal convento insieme ad altri sei compagni e al padre di famiglia Cándido Castán.  Fucilazione all’alba del 24 luglio 1936 a Casa de Campo di Madrid.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Emanuele Gutierrez Martin, pregate per noi.

*Sant'Eufrasia - Eremita in Tebaide (24 Luglio)

Martirologio Romano: Nella Tebaide in Egitto, Santa Eufrasia, vergine, che, di famiglia senatoria, scelse di condurre vita eremitica nel deserto, facendosi umile, povera e obbediente.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eufrasia, pregate per noi.

*San Fantino il Vecchio (o il Taumaturgo) (24 Luglio)

San Fantino il Vecchio detto anche il Cavallaro (293-336 d.C.) era un giovane guardiano di cavalle di Taureana (presso Palmi-RC) al servizio di un signore romano, Balsamio.
Conosce la religione cristiana dei primissimi tempi e lavora di notte al servizio dei poveri.
Il padrone allertato dai malvagi lo scopre ma lui compie il prodigio di passare il vicino fiume Metauro (Petrace attuale) all'asciutto.
Alla morte è sepolto nella villa di Balsamio (attuale Cripta). Iniziano i miracoli e le guarigioni.
É venerato a Taureana di Palmi (RC) il 24 luglio con Messa in rito greco bizantino, preceduta, giorno 23 dai Vespri con gli Ortodossi nella Cripta.
La festa è stata reintrodotta dal Movimento culturale San Fantino (www.sanfantino.org) nel 1994, in collaborazione con la locale Parrocchia.  

Martirologio Romano: A Tauriana in Calabria, San Fantino il Vecchio, detto il Taumaturgo.
San Fantino è il Santo più antico calabrese storicamente provato. Nato a Taureana di Palmi (Rc) nel 294 dc, dove morì nel 336, il 24 Luglio, giorno in cui si celebra la memoria.
Il suo biografo , Pietro Vescovo occidentale ci presenta un profilo di santità affascinante. Non sappiamo chi l’ha condotto a Cristo, ma cosa più importante, sappiamo che una volta conosciuto, la sua
vita è stata solo per lui.
Pietro nel “Bios“ del Santo ci dice che era un cavallaro, a servizio di un nobile pagano di Taureana di nome Balsamio.
Uomo molto dedito alla preghiera e amico dei poveri pieno di misericordia nei loro confronti in conformità all’invito evangelico di siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro celeste.
Nel tempo della mietitura li aiutava facendo trebbiare i loro covoni con le cavalle del suo padrone, la notte affinchè  questo non si insospettisse.
Balsamio avvisato da gente malvagia, una volta scoperto Fantino, preso d’ira voleva ucciderlo, ma il Santo riuscito a scappare si diresse verso il fiume Metauro (oggi Petrace), che riuscì ad attraversare grazie alla sua preghiera, con cui ottenne il prodigio di dividerlo, in quanto era molto gonfio e non si poteva attraversare. Balsamio vedendo il prodigio, chiese perdono a Fantino, riuscì anche lui ad attraversare il fiume e si convertì a Cristo.
Alla sua morte, il Santo venne sepolto nella Villa di Balsamio, la cui Cripta tutt’ora esiste.
Tra i miracoli avvenuti per intercessione del santo, narrati sempre da Pietro, vi è quello della sua apparizione  insieme alla Madonna, su uno scoglio immerso nel mare in località Pietrenere nei pressi di Taureana.
Il vescovo ci dice che mentre si festeggiava la memoria del Santo, si videro arrivare delle navi saracene. L’esercito si preparava alla battaglia, molti si recarono sulla tomba del Santo per invocare la sua protezione.
Scoppiò una tempesta che fece naufragare le navi.
I pochi saraceni che si salvarono, una volta arrestati, narrarono di aver visto sullo scoglio, una donna vestita di porpora e un giovane con i capelli al vento e con in mano un tizzone fumigante che ad un cenno della donna lanciò a mare, facendo scoppiare la tempesta. La gente ha riconosciuto in quella donna la madre di Dio e nel giovane San Fantino.
Da questo prodigio, nasce a Taureana il culto alla Madonna con il titolo di Maria SS.ma dall’Alto mare. Il miracolo si può datare intorno al 560.
Per ricordare il prodigio, Il 24 luglio 2010, l’effige della Madonna è stata incoronata con un diadema interamente in oro benedetto da SS. Benedetto XVI, il 26 maggio 2010.
Ogni anno, il Santo viene celebrato il 24 luglio, secondo le indicazione del Messale proprio della Diocesi di Oppido M. - Palmi, con il rito latino in tutta la Diocesi e in maniera particolare a Taureana con la benedizione dei cavalli e cavalieri di San Fantino il cui numero e 24 in onore del Santo. Dopo la benedizione, l’icona del Santo viene portata processionalmente fino alla Cripta.

(Autore: Sac. Vittorio Castagna - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fantino il Vecchio, pregate per noi.

*Beato Francesco Polvorinos Gomez - Religioso e Martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Calaveras de Arriba, Spagna, 29 gennaio 1910 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.
Dati biográfici
Nacque a Calaveras de Arriba, frazione del comune di Almanza, provincia e diocesi di León, il 29 gennaio del 1910. I suoi genitori, di umili origini, erano contadini e pastori. Ogni sera si pregava in casa il Santo Rosario presieduto da suo padre. In questo humus cristiano crebbe il seme della devozione di Francesco verso la SS.ma Vergine Maria e verso l’Eucarestia, favorendo più tardi il fiorire della vocazione religiosa.
Dopo aver contattato, invano, diversi istituti religiosi, infine si aprirono per lui le porte dello scolasticato degli Oblati, aveva appena 16 anni. I suoi Formatori vedono in lui “Un buon alunno, concreto e giudizioso, portato per lo studio, molto equilibrato, fatto per la vita reale” (Relazione per il noviziato).
Suo nipote, Elías Pacho, fa notare in lui una intensa vita di fede e dice che era una persona davvero pia, che viveva intensamente la propria vocazione religiosa. Sottolinea il suo amore per la Chiesa, manifestato apertamente nel suo villaggio durante le vacanze con una espressione che là divenne familiare: “La Chiesa sarà sempre perseguitata, ma mai vinta”.  Il giudizio dei suoi formatori avvalora questa frase: “Uomo caritatevole, rispettoso della Regola, sincero con i suoi superiori, attento alla propria vocazione e interessato alle opere della congregazione. Il suo motto: “Fare il bene senza fare rumore”.

Testimonianza del martirio
Un altro nipote, Alberto Pacho,  testimonia:  “Sospetto che, da quando fu fatto prigioniero fino all’alba del 24 luglio (quando fu ucciso), oltre alle vessazioni alle quali fu sottoposta tutta la comunità,
insieme con gli altri compagni, lo sottomisero per lo meno al disprezzo e a maltrattamenti. Ho ben chiaro che nel breve tempo che furono detenuti nel convento di Pozuelo, riuscirono a portare avanti una vita intensamente spirituale. Ricevette l’Eucarestia, che, nel suo caso e in quello di altri suoi compagni, fu come Viatico, quando decisero di consumare l’Eucarestia per evitare profanazioni.Tutto questo lo so perchè riferitomi dai sopravvissuti.
All’alba del 24 luglio del 1936, i militari lessero la lista di sette nomi di Oblati, tra cui mio zio. La prima notizia che ricevetti della sua morte, come martirio, fu la lettera inviata a suo padre (mio nonno) nei primi di maggio del 1937 firmata dal P. Matías Mediavilla, di cui conservo l’originale che ho letto e riletto tante volte.
Questa lettera si è conservata nella famiglia con venerazione.
In essa si dice che suo figlio è una delle vittime immolata dai nemici della fede.
A differenza di altri che morirono durante la guerra, questa notizia lasciò in paese una forte impressione, per quanto fosse apprezzato dai vicini, per la sua bontà e per la sua  personalità religiosa. Questo lo ricordo perche lo vissi io stesso. C’era la piena consapevolezza che la sua morte era dovuta alla sua fede religiosa”.
La lettera alla quale si fa riferimento dice testuamente:
“Devo comunicarle la dolorosa notizia che (suo figlio) è stato una delle sette vittime sacrificate nei primi giorni. Comprendo quanto triste sia per i suoi genitori una simile notizia, ma di questi tempi è un vero onore essere genitori di martiri”.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Francesco Polvorinos Gomez, pregate per noi.

*Beato Giovanni Antonio Perez Mayo - Sacerdote e Martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Santa Marina del Rey, Spagna, 18 novembre 1907 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.

Dati biográfici
Nacque il 18 novembre 1907 a Sant Marina del Rey, provincia di León e diocesi di Astorga, e venne battezzato il 23 dello stesso mese.
Fece la sua professione religiosa il 15  agosto 1927 nel noviziato di Urnieta. Il 26 giugno 1932 fu ordinato sacerdote a Roma. Divenne Dottore in Filosofia e laureato in Teologia. Nel 1934 fu destinato alla  Comunità di Las Arenas (Vizcaya). L’anno successivo, 1935, fu inviato allo Scolasticato di Pozuelo come Professore di Filosofia.
Il 22 luglio 1936 fu arrestato con tutti i suoi fratelli di Comunità e fatto prigioniero nello stesso Convento. Due giorni più tardi, all’alba del 24 luglio, venne fatto uscire dallo stesso Convento con altri sei Oblati, tutti studenti, e col laico Cándido Castán San José e fu martirizzato quello stesso giorno a Casa de Campo, luogo situato tra Pozuelo de Alarcón e Madrid. Aveva 29 anni.

Testimonianze
Sono nipote carnale, per linea paterna, del Servo di Dio Juan Antonio Pérez Mayo. La conoscenza che possiedo è di riferimento per l’esperienza che ho avuto nella famiglia e anche per il rapporto che
ho avuto con gli Oblati, congregazione in cui sono stato qualche tempo.
I genitori  del Servo di Dio erano Modesto Pérez e Beatriz Mayo. La loro condizione religiosa era di cattolici praticanti e di retta condotta morale. Conobbi entrambi personalmente.  
La famiglia era composta, oltre che dai genitori, da sette fratelli. Tomás, che è mio padre, è l’unico superstite dei fratelli.
Il Servo di Dio era, da bambino, “Tarsicio”. I “Tarsicios” erano una associazione religiosa che inculcava nei bambini la pratica della comunione e confessione frequente.
Nella famiglia risaltava la preghiera giornaliera del Rosario. A 14 anni entrò a fare parte dell’ Adorazione Notturna.
Verso i 14 anni, il Servo di Dio manifestò il desiderio di diventare missionario oblato.
Il motivo per cui voleva diventare oblato custodisce la  relazione con un oblato di un paese vicino.
Intendo dire che assisteva  a delle lezioni private che gli dava il sacerdote del paese per entrare nel Seminario Minore degli Oblati. Era un ragazzo molto studioso e di una intelligenza brillante.
Quando andava in vacanza al paese si recava giornalmente a messa, dando la comunione, aiutando; nel pomeriggio partecipava anche al Rosario e aiutava i suoi genitori nei lavori della campagna.
Una volta terminato il Noviziato, lo inviarono a Roma perché seguisse gli studi di Filosofia e Teologia.  Si distingueva per la devozione alla Madonna, che è una delle caratteristiche della spiritualità dei Missionari  Oblati.
A proposito di ciò,  in concreto, conservo una sua poesia  dedicata alla Santissima Vergine e che consegnai alla Postulazione.
Seguì gli studi di Filosofia e Teologia presso l’ “Angelicum” di Roma. So che venne ordinato sacerdote nella stessa città nel 1930. Il primo ministero sacerdotale che ebbe mio zio fu la predicazione, per la quale fu inviato a Las Arenas, vicino a Bilbao.
Nel 1935 fu destinato a Pozuelo come professore di Filosofia. Il ricordo che è rimasto di lui in quel corso è quello di una persona tenace nel lavoro; preparava le lezioni con molta dedizione.  
Il Servo di Dio era convinto che  tutte  le persecuzioni avevano la loro base nell’ odio contro la Fede Cristiana, e, perciò, è logico dedurre che accettò la sua morte a causa dell’ odio alla Fede Cristiana.
È  opinione di molta gente, soprattutto della gente semplice del paese che lo conobbe e che si informò della sua morte, così come dei suoi compagni Oblati, che morì martire della religione cattolica.
In famiglia sono dell’ opinione che morì da martire e aveva l’illusione che qualche altro membro della famiglia occupasse il posto che lui lasciò tra gli Oblati.
Questa fama di martirio si manifestava nel fatto che la gente credeva che la sua morte fu dovuta alla fede che professava.
Mio padre lo invocava con frequenza e già ho dichiarato che nella famiglia lo si venera come martire. Io, personalmente, lo considero martire giacché non c’è altro motivo per la sua morte.

(Autore: Pedro Antonio Pérez Rueda - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Antonio Perez Mayo, pregate per noi.

*San Giovanni Boste - Sacerdote e Martire (24 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”

Dufton, Inghilterra, 1544 - Durham, Inghilterra, 24 luglio 1593

Martirologio Romano:
A Durham sempre in Inghilterra, San Giovanni Boste, sacerdote e martire per il suo sacerdozio, che, sotto la stessa regina, anche davanti al giudice non cessò di confortare i suoi compagni.
Nato da famiglia cattolica a Dufton (Westmoreland) verso il 1544, il Boste studiò al Queen's College di Oxford, conseguendo il diploma di baccelliere (1569) e poi di Maestro delle Arti (1572).
Fu per un certo tempo predicatore protestante, ma, riconosciuto il suo errore, si riconciliò con la Chiesa cattolica a Brome (Suffolk) nel 1576, si dimise dal collegio dei professori e, per studiare teologia, si portò a Reims, dove fu consacrato sacerdote il 4 marzo 1581.
Nell'aprile seguente ritornò in patria e si diede a una vita missionaria così intensa ed efficace, specialmente nel far rientrare nella Chiesa cattolica quelli che avevano riconosciuto con giuramento la supremazia spirituale di Elisabetta, che il consiglio privato della regina ordinò perentoriamente di catturarlo, usando di qualsiasi mezzo.
Difatti il Boste, per il tradimento di un falso amico, fu arrestato presso Durham, il 5 luglio 1593.
Trasportato alla Torre di Londra, subì per quindici volte orrende torture, dopo le quali poté
camminare solo appoggiandosi a una canna.
Riportato a Durham per le assise del 22 luglio, si dichiarò innocente, si gloriò delle Messe celebrate, delle riconciliazioni ottenute con la Chiesa cattolica e di tutto il lavoro compiuto a pro' delle anime; indi, udita la sentenza di morte, intonò lieto e sorridente il Te Deum.
Il 24 luglio salì la forca recitando un'Ave a ogni gradino del palco. Avrebbe voluto parlare al pubblico, ma non gli fu concesso e poté dire solo di sperare che la sua morte avrebbe parlato al cuore dei presenti, dicendo loro tutto quello che egli avrebbe voluto dire.
Quindi cominciò a recitare versetti dei salmi, ma ben presto fu impiccato e sviscerato.
Ancora vivo, mentre gli strappavano il cuore, lo si udì raccomandare il suo spirito nelle mani del Signore. Il Boste fu beatificato il 15 dicembre 1929.

(Autore: Celestino Testore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Boste, pregate per noi.

*Beato Giovanni Pietro del Cotillo Fernandez - Religioso e martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Siero de la Reina, Spagna, 1 maggio 1914 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.

Dati biográfici
Nacque a Siero de la Reina, provincia e diocesi di León, il 1° maggio del 1914. Era un religioso umile e tenace, sempre disposto  ad aiutare gli altri. La sua aspirazione era quella di seguire le orme di altri missionari Oblati del suo stesso paese. Nacque in una famiglia di agricoltori numerosa, nove figli, e molto devota “Attenta nel compiere tutto ciò che comanda la Chiesa”. Una delle sorelle entrò nella Sacra Famiglia di Bordeaux.
Tutti i giorni si pregava il Santo Rosario in famiglia. La madre era una persona caritatevole e nonostante le molte sofferenze non perse mai la gioia di vivere.
Senza dubbio all’origine della sua vocazione influì molto lo stile di vita profondamente cristiano della sua famiglia e il fatto che altri giovani del suo stesso villaggio fossero entrati nella congregazione dei missionari Oblati. Uno di loro , P. José Vega, sarebbe stato ucciso  nel suo stesso gruppo.
Durante gli anni di studio gli vennero diagnosticate alcune complicazioni cardiache, ma il medico gli garantì che si sarebbero potute curare con un po’ di attenzione.
Al momento della cattura P. José Vega intervenne in suo favore dicendo: “Non prendete questo ragazzo, è malato di cuore!” ed essi replicarono: ”Per quello che gli faremo fare, sta sufficientemente bene “. Era una chiara risposta che rivelava la fine che spettava a Juan Pedro.

Detenzione e  martirio
Il 22 luglio del 1936 fu tenuto prigioniero nella propria comunità con gli altri membri della stessa. Due giorni dopo, all’alba del 24, lo prelevarono con altri sei compagni e, senza alcun giudizio previo, li fucilarono nel parco di casa de Campo a Madrid.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Pietro del Cotillo Fernandez, pregate per noi.

*Beato Giovanni Solorzano - Protomartire dell’America (24 Luglio)
XV secolo
Il Beato Giovanni, si formò nel convento mercedario di Fuentes (Spagna), e partì per l’America con Cristoforo Colombo del quale fu compagno e consigliere durante il viaggio.
Per primo predicò la fede nell’isola di Cuba dove convertì e battezzò un grandissimo numero di idolatri ed eresse alcuni monasteri.
Dopo aver sostenuto molte fatiche, per la difesa della fede fu ucciso e decorato dalla porpora del suo sangue innocente e glorioso entrò nel regno dei cieli come primo martire dell’America.
L’Ordine lo festeggia il 24 luglio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Solorzano, pregate per noi.

*Beato Giovanni Tavelli da Tossignano - Vescovo di Ferrara (24 Luglio)

Tossignano di Imola (BO), 1386 - Ferrara, 24 luglio 1446
Emblema:
Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Ferrara, Beato Giovanni da Tossignano Tavelli, vescovo, dell’Ordine dei Gesuati.
Il Beato Giovanni Tavelli nacque a Tossignano di Imola (BO), nel 1386, in una data tra il 28 luglio e la fine dell’anno. Giovane universitario a Bologna interruppe gli studi giuridici per entrare nell’ordine pauperistico dei Gesuati.
Assiduo alla preghiera, alla penitenza, agli studi sacri, ben presto divenne sapiente guida del popolo, di anime elette e persino di Pontefici.
Fu nominato Vescovo di Ferrara il 28 ottobre 1431.
Eugenio IV dovette vincere le sue titubanze con una lettera privata del 18 novembre 1431.
Fu consacrato sacerdote e Vescovo nello stesso giorno, il 27 dicembre 1431 a Mantova dal Vescovo locale.
Svolse un’intensa attività pastorale visitando la diocesi sei volte.
Tradusse e compose opere di carattere biblico ed ascetico. Partecipò ai Concili di Basilea (1433) e di Ferrara-Firenze (1438) per l’unione dei cristiani.
Fu eroico apostolo durante la peste e salvò miracolosamente la sua città da un’inondazione del Po.
In collaborazione coi marchesi d’Este fondò l’Arcispedale Sant' Anna nel 1443.
Morì a sessant’anni, il 24 luglio 1446, consumato dallo zelo, dalle penitenze e ancor più dall’intenso amore di Dio e delle anime.
Al momento stesso della sua morte, Santa Caterina Vegri vide la sua anima tutta splendente e ricca di meriti, entrare nella gloria del Cielo.
Fu subito venerato come Santo.
Il suo culto, mai interrotto tuttora perdurante, fu approvato da Clemente VIII e confermato da Benedetto XIV.
La sua santa vita e le grazie straordinarie lo additano come mirabile esempio e come valido intercessore da invocare.
Il processo diocesano per la canonizzazione, fatto riprendere dall'Arcivescovo Mons. Luigi Maverna e concluso il 24 luglio 1995, è stato riconosciuto giuridicamente valido dalla Congregazione per le cause dei Santi il 1 marzo 1996.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Tavelli, pregate per noi.

*San Giuseppe Fernandez - Martire, Domenicano (24 Luglio)

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, San Giuseppe Fernández, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, decapitato per Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.
Questo missionario fa parte del glorioso manipolo di Frati Predicatori martirizzati in odio alla fede da Mingh-Manh (1820-1840), re del Tonchino (Vietnam), intelligente, ma crudele e xenofobo. Giuseppe nacque il 3-12-1775 a Ventosa de la Cueva, nella provincia di Avila, regione della Spagna che ha dato alla Chiesa diversi grandi santi. Nel fiore degli anni entrò nel convento domenicano di San Paolo in Valladolid (1796).
Essendo rimasto conquiso dagli ideali missionari, si preparò all'apostolato tra gl'infedeli nel celebre collegio di Ocana. Nel 1805 fu ordinato sacerdote e pochi mesi dopo meritò di essere inviato nelle Missioni del Tonchino Orientale, dove pose piede nel giugno dell'anno seguente, dopo dure peripezie per mare e per terra.
Il Santo esercitò il sacro ministero per trentadue anni restando quasi sempre fisso nel villaggio di Kien-Lao, popolato da circa 5.000 cattolici e da pochi pagani.
I frutti spirituali che raccolse tra di loro furono veramente abbondanti se il Priore della Provincia domenicana del SS. Rosario nelle Filippine, da cui dipendevano i missionari del Tonchino, lo nominò suo Vicario per quella regione.
Che la scelta fosse caduta sopra un soggetto che si era acquistato molte benemerenze, lo prova il fatto che la lettera di nomina giunse al santo quando, in odio alla fede da lui predicata con tanto zelo e competenza, attendeva il momento di andare a ricevere con il martirio il premio delle sue fatiche.
Da quando era stata inasprita la persecuzione dal re Minh-Manh, deciso a sbarazzarsi di tutti i missionari europei, ad abbattere le loro chiese e a far calpestare la croce a tutti i cristiani, il P. Fernàndez fu costretto ad andare ramingo per terre sconosciute, nonostante la malferma salute e gli acciacchi dell'età. Quando giunse nel villaggio di Ninh-Choung era prostrato dalla dissenteria. S. Pietro Tuàn, che Mons. Clemente Delgado (112-7-1838".
Vicario Apostolico, aveva ordinato sacerdote per il buon spirito notato in lui, appena seppe delle gravi condizioni di salute in cui versava il Vicario dei Domenicani, era corso a offrirgli i suoi servigi. E poiché l'infermo stentava a riprendersi, risolse di non abbandonarlo un istante benché i persecutori lo incalzassero da tutte le parti. Il Signore lo ricompensò di tanta carità rendendolo partecipe della stessa corona del martirio.
Appena si era sparsa la notizia che il Vicario Apostolico era stato imprigionato, i cristiani di Ninh-Chuong, per evitare le terribili rappresaglie dei mandarini, atterrarono con le proprie mani la casa della missione per costringere i missionari a cercarsi quanto prima un rifugio altrove.
I due missionari, fatti due involti delle sacre suppellettili e dei libri liturgici, presi con sé un po' di soldi e di cibarie, in compagnia di due servi si recarono presso Quan-Lieu. al guado del fiume, dove, trovata una barchetta, poterono salirvi sopra e nascondersi tra i canneti della riva opposta. Prendere terra era pericoloso perché le rive del fiume erano rigorosamente sorvegliate dopo che. il 9-6-1838, era stato arrestato Mons. Domenico Henares (+25-6-1838 ), coadiutore del Vicario Apostolico, Mons. Delgado. Essendosi la loro vita resa peggiore della morte, si trasferirono nel villaggio di Qui-Han. nel Vicariato del Tonchino occidentale, affidato ai Padri delle Missioni estere di Parigi, i quali li accolsero con pr mura e li occultarono in casa di un cristiano. I mandarini però ne furono subito informati e allora, i due perseguitati per causa della giustizia, furono costretti a fuggire in barca.
Dopo due giorni di stenti trovarono rifugio nella casa di un pagano che sembrava offrire sufficienti garanzie di sicurezza. Invece, per avidità di guadagno, dopo quattro o cinque giorni, disse loro: "Voi non potete più dimorare in questo luogo: rivolgetevi altrove. Corrono cattive notizie e non siete più sicuri in casa mia". I due fuggiaschi, che si erano fidati delle promesse di lui, erano ben lungi dal sospettare che fosse un delatore. Non si erano ancora allontanati dalla riva del fiume quando videro un gran numero di soldati correre verso di loro.
Ormai era impossibile una fuga per quanto repentina. La loro barchetta era stata avvistata e, qualora avessero preso il largo, sarebbe stata presto raggiunta. Il P. Fernàndez poi, malato e semiparalizzato, non poteva muoversi con facilità. S. Pietro Tuàn con i due servi si nascose tra le alte erbe della riva, ma il 18 giugno 1838 fu catturato anche lui e condotto con una pesante canga al collo a Namh-Dinh, capitale della provincia meridionale. Il giudice lo condannò alla decapitazione perché si era energicamente rifiutato di calpestare la croce.
Morì tuttavia a causa dei tormenti e della fame il 15 luglio prima che fosse giunta la conferma da parte del re della sentenza di morte.
Poco prima di San Pietro Tuàn era stato arrestato il P. Fernàndez mentre cercava rifugio sopra una barchetta. Con il missionario caddero nelle mani dei soldati anche i rosari, i libri liturgici e le sacre
suppellettili che portava con sé per la celebrazione della Messa. Fu subito tradotto a Ninh-Binh dove, il giorno dopo, fu rinchiuso in una gabbia e trasportato il 22 dello stesso mese a Namh-Dinh. Colà sarebbe morto di fame se, un fervente cristiano, non avesse profumatamente pagato un soldato perché, due volte al giorno, somministrasse il cibo necessario al prigioniero.
É impossibile ridire gli strapazzi e le umiliazioni alle quali fu sottoposto il martire che aveva le membra talmente paralizzate da riuscirgli impossibile portare con le proprie mani il cibo alla bocca.
I giudici cercarono di abusare del miserando stato del prigioniero per strappargli confessioni compromettenti, ma invano. Invitato ad apostatare fin dalla sua prima comparsa in tribunale, con grande energia il santo dichiarò che era venuto nel Tonchino soltanto per predicare la fede di Cristo e di avere, per questo, corso molti pericoli, di essere vissuto in molte case, e di avere convertito molte persone. Alle domande più capziose o non rispose affatto per non tradire i propri confratelli, o si limitò a ripetere quanto i giudici già conoscevano.
Stanchi costoro di non riuscire ad appurare quanto volevano, lo misero a confronto con Mons. Clemente Delgado e Mons. Domenico Henares (125-6-1833), ancora vivi, e il catechista Francesco Chièu. Grande fu la consolazione dei martiri di potersi scambiare liberamente in lingua spagnuola le proprie impressioni e animarsi alla prova suprema di fedeltà al vangelo. I mandarini chiesero a quei prelati se il malfattore che corrispondeva al nome di P. Fernàndez era veramente europeo e se, quanto aveva deposto in tribunale, corrispondeva a verità. A tutto essi risposero affermativamente.
Il 23-7-1838 giunse dal re Mingh-Manh la ratifica della sentenza di morte. Il giorno seguente essa fu letta dinanzi ai giudici e a una grande moltitudine di cristiani e di pagani. In quell'occasione il governatore della provincia disse al missionario: "Adesso ti si deve tagliare la testa. Se vuoi calpestare la croce, ti sarà data la libertà e potrai tornare in Europa: altrimenti morrai". Il martire gli rispose immediatamente: "No, mandarino; dammi la morte, se vuoi, ma, ti supplico, non parlarmi neppure di profanare questo segno di salute mediante il quale tutti gli uomini sono stati salvati".
Il Santo fu condotto al supplizio nel pomeriggio dello stesso giorno. Nell'attesa che nel campo detto dei "sette iugeri", già santificato dal sangue dei SS. Henares, Delgado e Chièu, tutto fosse preparato per l'esecuzione capitale, la gabbia in cui il P. Fernàndez soffriva da oltre un mese, fu deposta nell'atrio dei pretorio.
Ai monelli di strada fu permessa ogni licenza contro il prigioniero. Essi non si accontentarono di pronunciare parole e compiere azioni invereconde sotto gli occhi del vegliardo, ma ardirono persino strappargli i peli della barba fluente.
Sul campo dei "sette iugeri" il 24-7-1838 fu segata la gabbia in cui era racchiuso il missionario. Poiché non poteva muoversi a causa della paralisi, ne fu estratto e adagiato sopra una stuoia. Il Santo si pose in ginocchio per invocare l'aiuto di Dio, e si lasciò legare al palo, mite come un agnello. Con un colpo di spada il carnefice gli tagliò la testa e la scagliò lontano 15 passi per dimostrare che la sentenza era stata eseguita.
I presenti si precipitarono sul martire per raccoglierne il sangue e farne a brandelli le vesti. Allora i mandarini, indignati, ordinarono che il giustiziato fosse subito sepolto. La testa di lui rimase esposta al pubblico per tre giorni, poi fu gettata nel fiume; il corpo invece fu portato a Bùi-Chu, accanto a quelli dei confratelli.
Leone XIII lo beatificò il 7-5-1900 con altri 76 martiri, e Giovanni Paolo II lo canonizzò con altri 116 testimoni della fede nel Vietnam.

(Autore: Guido Pettinati – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Fernandez, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Lambton - Martire (24 Luglio)

Martirologio Romano: A Newcastle-on-Tyne sempre in Inghilterra, Beato Giuseppe Lambton, sacerdote e martire, che, a ventiquattro anni, dopo atroci torture, nella medesima persecuzione fu dilaniato vivo per il suo sacerdozio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Lambton, pregate per noi.

*Beato Giusto Gil Pardo - Religioso e Martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Lukin (o Lúquin), Spagna, 18 ottobre 1910 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.

Dati biográfici
Nacque a Lukin (o Luquin), provincia di Navarra e diocesi di Pamplona – Tudela, il 18 Ottobre 1910.
Figlio di una famiglia molto numerosa, 11 fratelli, i suoi genitori Jesús e Vicenta, erano ardenti e retti cristiani. Alla morte di suo padre i vicini lo ricordavano così: “E’ morta la migliore persona del paese”.
Justo muove i primi passi della sua formazione cristiana e umana avvolto dal calore del focolare domestico e dalla collaborazione delle Figlie della Carità, che avevano un collegio nel luogo.
Durante la catechesi parrocchiale era esemplare e serviva sempre a Messa. A Lukin, paese molto piccolo, ci sono due chiese monumentali, una dedicata alla Vergine e l’altra al patrono del luogo San Martino. Con la scusa della Novena si celebravano molte messe in entrambe le chiese e Justo serviva a tutte.
In questo clima religioso, nacque spontanea la sua vocazione al sacerdozio. Pensava di entrare nel seminario diocesiano, ma desiderava anche essere missionario.
Il prete di un paese vicino, D. José Mª Sola, lo indirizzò verso lo Scolasticato degli Oblati. Justo aveva allora circa 15 anni. Le tappe della sua formazione religiosa ed ecclesiastica saranno le stesse di altri due: Urnieta (Guipúzcoa), Las Arenas (Vizcaya) e Pozuelo (Madrid).
Fu ordinato Diacono a Madrid il 6 giugno 1936, alla fine del terzo anno di teologia, e aspettava l’ordinazione sacerdotale nel corso dell’anno seguente.
Le sue sorelle gli stavano già confezionando i paramenti sacri. Suo fratello, Fra Pedro, un monaco benedettino a Laire, ci parla del sogno che sarebbe stato per Justo arrivare a questa ordinazione, sogno condiviso con tutti i suoi familiari.
“Era un tale sogno [...] per tutta la famiglia, che in casa avevano già pronto il camice per l’ordinazione, camice che era stato confezionato da mia sorella con l’aiuto delle Figlie della Carità, e che dopo avremmo regalato alla parrocchia”.
Testimonianze
La devozione a Gesù Eucarestia e alla santissima Vergine, che aveva acquisito in famiglia, crebbe ancora durante i suoi anni di formazione religiosa. Il testimone J.M.V., Provinciale degli Oblati, ci comunica ciò che sentì a Lukin dalla labbra di una sorella di Justo: “Durante le vacanze tentava di ricomporre le possibili tensioni che c’erano in famiglia…Era molto devoto all’Eucarestia, alla quale cercava di non mancare un solo giorno”.
I suoi formatori riassumono la sua valutazione in due frasi: “Impressione generale molto buona, con ogni speranza sarà un buon religioso e uno zelante missionario”.

Martirio
Il 22 luglio 1936, Julio venne arrestato insieme a tutti i membri della Comunità Oblata di Pozuelo e
fatto prigioniero nel suo stesso convento. Due giorni dopo viene condotto alla Direzione Generale di Sicurezza di Madrid e messo in libertà il giorno seguente. Vive in clandestinità, rifugiandosi in diverse case.
Grazie al suo fratello benedettino sappiamo qualcosa riguardo al suo andirivieni per quella Madrid agitata e ostile verso tutti i religiosi. C’era da proteggersi e Justo si ripara presso un fratello che vive al numero 7 di Travesía del Horno de la Mata.
Leggiamo il racconto di Pedro:
“Mio fratello andò a casa di nostro fratello Raimundo. Rimase nascosto là per nove giorni, fino a quando i commenti del vicinato non rischiarono di mettere in pericolo tanto la vita di Justo quanto quella di nostro fratello e di sua moglie Teresa.
Per questo motivo Teresa accompagnò mio fratello Justo alla casa provinciale degli Oblati, dove lo accolsero, e dove restò fino al giorno seguente, quando si trasferì presso una pensione i cui proprietari erano conoscenti di Raimundo. Mio fratello Justo conosceva già questa pensione perchè dava lezioni di musica a uno dei figli dei proprietari. Rimase lì per due mesi e mezzo: dal 1 agosto al 15 ottobre 1936. Lo arrestarono in seguito ad una perquisizione generale e lo portarono al carcere Modelo”.
Lì nel carcere Modelo di Madrid si ritrovò con i suoi fratelli Oblati. Dopo un mese lo trasferirono al collegio degli Scolopi di San Antón, che era stato trasformato in una prigione.
Questa fu la sua ultima dimora. Durante una delle “sacas” (rastrellamenti) della notte tra il 27 e il 28 novembre, Justo fece parte, insieme a molti dei suoi fratelli Oblati, della lista di coloro che, con la scusa che sarebbero stati messi in libertà, furono portati a Paracuellos del Jarama per essere uccisi.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giusto Gil Pardo, pregate per noi.

*Beato Giusto Gonzalez Lorente - Religioso e Martire (24 Luglio)  

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Villaverde de Arcayos, Spagna, 14 ottobre 1915 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 17 dicembre 2011.

Dati biográfici
Justo González Lorente nacque a Villaverde de Arcayos, provincia e diocesi di Leon, il 14 ottobre 1915. La sua famiglia, conosciuta nel paese come una famiglia molto cristiana, facilita e coltiva in lui la vocazione religiosa, che seglie di seguire le orme di altri ragazzi e ragazze del suo villaggio. Il 14 agosto 1927 entra nel seminario minore dei Missionari Oblati di Urnieta (Guipúzcoa) e nel 1932 inizia il noviziato a Las Arenas (Vizcaya). Fa la sua prima oblazione temporanea, per un anno, il 15 agosto dell’anno successivo.
Va a Pozuelo per proseguire gli studi, portando avanti con grande rigore la sua formazione intellettuale e spirituale. Alla fine del primo anno di teologia si prepara a fare la sua oblazione perpetua. Dio gli chiederà di fare della sua vita un’offerta cruenta: il martirio.

Carattere
Sembrava alquanto timido e sensibile; ma era allegro, servizievole e amico di tutti. Le persone che lo conobbero lo descrivono come un religioso che si distingueva per il suo grande sogno di essere un missionario e si preprarava a questo con grande entusiasmo. La missione era l’ideale della sua vita. In una lettera a sua sorella Dionisia, religiosa, scriveva che desiderava ardentemente terminare le tappe
della formazione per consegnarsi pienamente a Dio nella consacrazione religiosa.
Prigionia e martirio
Gli avvenimenti del 22 luglio del 1936 cambiarono il corso dei suoi sogni. Fu imprigionato con tutta la comunità oblata nel convento, trasformato in prigione quello stesso giorno.
Due giorni più tardi, all’alba del 24 luglio, Justo fu allontanato dal convento con altri sei oblati e con un laico, padre di famiglia, Cándido Castán, anche lui incarcerato. Tutti furono martirizzati presso la Casa de Campo a Madrid.

Testimonianza
“I servi di Dio (gli Oblati di Pozuelo), afferma un testimone, avevano previsto il martirio, dato l’ambiente di ostilità che regnava ovunque contro la Chiesa e i suoi membri.
Già alcuni mesi prima della cattura avvertivano che le loro vite erano in pericolo, considerando insulti e minacce di morte di cui erano spesso oggetto, solo per il semplice fatto di essere sacerdoti o religiosi.
Questa situazione spingeva tutti a prepararsi in vista di quello che Dio, nella sua amorosa provvidenza, aveva loro riservato,  e che essi prevedevano, mantenendo un atteggiamento sereno e fervente.
Erano tutti convinti che se fossero morti, ciò sarebbe stato causato solo dall’odio verso fede cristiana e dal fatto di essere persone consacrate”. Justo era uno di quelli.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giusto Gonzalez Lorente, pregate per noi.

*San Jerbello (Sarbel, Charbel) Giuseppe Makhluf - Sacerdote (24 Luglio)

1828 - 24 dicembre 1898

Martirologio Romano: San Charbel (Giuseppe) Makhlūf, sacerdote dell’Ordine Libanese Maronita, che, alla ricerca di una vita di austera solitudine e di una più alta perfezione, si ritirò dal cenobio di Annaya in Libano in un eremo, dove servì Dio giorno e notte in somma sobrietà di vita con digiuni e preghiere, giungendo il 24 dicembre a riposare nel Signore.
(24 dicembre: Ad Annaya in Libano, anniversario della morte di San Charbel (Giuseppe) Makhluf, la cui memoria si celebra il 24 luglio).
Giuseppe Makhluf, nacque nel villaggio di Biqa ’Kafra il più alto del Libano nell’anno 1828.
Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno.
A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata “la grotta del Santo”).
Egli pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei 23 anni, visto l’opposizione dello zio, quindi nel 1851 entrò come novizio nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine Maronita Libanese.
Cambiò il nome di battesimo Giuseppe in quello di Sarbel che è il nome di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano.
Trascorso il primo anno di noviziato fu trasferito da ‘Annaya al monastero di Maifuq per il secondo anno di studi.
Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853 fu mandato al Collegio di Kfifan dove insegnava anche Ni’matallah Kassab la cui Causa di beatificazione è in corso.
Nel 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero da ‘Annaya dove stette per quindici anni; dietro sua richiesta ottenne di farsi eremita nel vicino eremo di ‘Annaya, situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni.
Mentre celebrava la Santa Messa in rito Siro-maronita, il 16 dicembre 1898, al momento della sollevazione dell’ostia consacrata e del calice con il vino e recitando la bellissima preghiera eucaristica, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo.
A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba, questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido, rimesso in un’altra cassa fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana.
Nel 1927, essendo iniziato il processo di beatificazione, la bara fu di nuovo sotterrata.
Nel 1950 a febbraio, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido, e supponendo un’infiltrazione d’acqua, davanti a tutta la Comunità monastica fu riaperto il sepolcro; la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi.
Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso del Beato Sarbel e il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950 ad aprile le superiori autorità religiose con una apposita commissione di tre noti medici riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927.
Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli ed infatti molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione.
Si sentiva da più parti gridare Miracolo! Miracolo! Fra la folla vi era chi chiedeva la grazia anche non essendo cristiano o non cattolico.
Il Papa Paolo VI il 5 dicembre 1965 lo beatificò davanti a tutti i Padri Conciliari durante il Concilio Ecumenico Vaticano II.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Jerbello Giuseppe Makhluf, pregate per noi.

*Beato José Máximo Moro Briz - Sacerdote e Martire (24 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli della Diocesi di Avila" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Beati 522 Martiri Spagnoli"  Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)

Santibáñez de Béjar, Spagna, 29 maggio 1982 - El Tiemblo, Spagna, 24 luglio 1936.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato José Máximo Moro Briz, pregate per noi.

*Santa Kinga (Cunegonda) - Regina di Polonia (24 Luglio)
Ungheria, 1224 – 1292
Figlia del re di Ungheria Bela IV. Nel 1239 andò sposa di Boleslao V il Casto, principe di Cracovia, visse con lui in perfetta castità.
Alla morte del marito (1279), entrò tra le Clarisse, ove si distinse per la preghiera e la penitenza. Divenuta Abbadia del monastero, si prodigò nell’assistenza ai poveri e ai malati. Beatificata da Alessandro VIII (16390).
Patrona della Polonia e della Lituania.  Festa il 23 luglio.

Patronato: Polonia, Lituania.
Emblema: Corona, Scettro
Martirologio Romano: A Stary Sącz presso Tarnów in Polonia, Santa Cunegonda, che, figlia del re di Ungheria, data in moglie al duca Boleslao, mantenne insieme a lui illibata la sua verginità e, rimasta vedova, professò la regola di Santa Chiara nel monastero da lei fondato.
Il 3 luglio 1998 è stato riconosciuto un miracolo ottenuto per sua intercessione; questo ha aperto la strada per la canonizzazione della beata Kinga, il cui culto era stato confermato nel 1690 da Papa
Alessandro VIII e quindi Papa Giovanni Paolo II ha proceduto alla canonizzazione il 16 giugno 1999 a Stary Sacz (Polonia).
Nel 1715 era stata nominata Patrona della Polonia e della Lituania da papa Clemente XI.
Ma se tutti si sono ricordati di glorificarla e venerarla ufficialmente in questi ultimi secoli, bisogna però dire che Santa Kinga (Cunegonda) è un personaggio del XIII secolo; infatti ella nacque nel 1224 dal re d’Ungheria Bela IV e da Teodora Laskarysa ed ebbe come sorelle le Beate Jolanda e Margherita.
Crebbe timorata di Dio e nel 1239 venne data in sposa a Boleslao il Pudico, principe di Cracovia, inducendolo a fare voto di castità insieme a lei.
Condusse a corte una vita di mortificazione, dedicandosi alla preghiera e alle opere assistenziali verso i malati ed i poveri.
Sollecitò insieme al marito la canonizzazione di San Stanislao vescovo di Cracovia che avvenne nel 1253.
Nel 1279 le morì il marito Boleslao e libera da ogni legame, non avendo avuti figli, lasciò gli incarichi di Stato e si ritirò nel monastero delle clarisse a Stary Sacz da lei fondato con i beni della sua dote.
Contro la sua volontà fu eletta badessa, compito che espletò con una grande umiltà, a lei e alle sue preghiere venne attribuito il merito del ritrovamento dell’acqua nel monastero, che ne era privo e del salgemma a Bochnia.
Trascorse nel monastero tredici anni, esaurendo le forze nelle penitenze e nell’ascetica; confortata da una visione di San Francesco, chiuse la sua vita terrena il 25 luglio 1292, dopo una lunga malattia, nel giorno che lei stessa aveva profetizzato.
Le prime notizie che ci sono pervenute per iscritto, compaiono in una prima ‘Vita’ anonima compilata a Cracovia nel 1401 e una successiva rielaborazione della prima nel 1474.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Kinga, pregate per noi.

*Beata Ludovica di Savoia - Principessa (24 Luglio)

Bourg-en-Bresse, Francia, 28 luglio 1462 - Orbe, Svizzera, 24 luglio 1503
Illustre principessa della Casa di Savoia, figlia del Beato Amedeo IX.
Dopo alcuni anni di matrimonio, rimasta vedova in giovanissima età, abbracciò la regola di Santa Chiara, secondo lo spirito di santa Coleta.
Passò i suoi anni in monastero come fulgido modello delle virtù religiose.

Martirologio Romano: A Orbe nella Savoia, Beata Ludovica, religiosa, che, figlia del beato duca Amedeo, sposò Ugo principe di Châlon e alla sua morte abbracciò in umiltà e fedeltà la regola di Santa Chiara secondo la riforma di santa Coletta.
Ludovica nacque (probabilmente) a Bourg-en-Bresse il 28 luglio 1462, quinta dei nove figli del Beato Amedeo IX di Savoia e di Jolanda di Francia, sorella del Re Luigi XI.
La capitale del Ducato era Chambery, ma la corte era itinerante per un controllo diretto dei territori.
Casa Savoia era già proprietaria di quello straordinario documento della Passione che è la Sindone, tale tesoro prezioso seguiva la corte nei vari spostamenti.
Possiamo facilmente immaginare gli occhi commossi di Ludovica e del padre che ammirano l’Uomo dei Dolori impresso nel Sacro Lino.
Estremamente religioso e munifico verso i poveri, dopo aver assicurato al suo popolo un lungo periodo di pace, il Beato Amedeo morì a Vercelli il 30 marzo 1472 a soli trentotto anni. Ludovica ne aveva dieci.
L’eredità paterna fu una fede profonda e, possiamo dire, la santità.
La madre, dal carattere più forte del consorte, era la Reggente del Ducato già da alcuni anni.
La dolcezza della giovane Ludovica fece breccia nel cuore di Ugo di Chalon, più grande di quattordici anni, membro del ramo cadetto dei Signori di Borgogna, ospite a Chambery per sette anni dopo essere caduto in disgrazia.
Diventerà suo marito.
Le vicende politiche di quei tempi erano assai complicate, gli interessi territoriali causavano numerose guerre.
Jolanda strinse un patto con Carlo il Temerario, Duca di Borgogna, ma, sospettata di complotto col fratello, in un'imboscata notturna, fu arrestata con i figli proprio dal suo alleato (1476). Nella solitudine del maniero di Rouvres (Digione), in una prigionia in verità non rigida, Ludovica fece l’esperienza di una sorta di ritiro religioso e conobbe il francescano Padre Giovanni Perrin, che tanta importanza avrebbe avuto per lei in futuro.
Ugo le fece visita, in un crescendo d’affetto, anche se lei cominciava a desiderare il ritiro in clausura, fu Padre Perrin a convincerla che anche il matrimonio poteva essere vissuto santamente.
Intanto, per interessamento dello zio Re, Jolanda e figli furono lasciati liberi.
Mentre erano in visita alla corte di Francia il Duca di Borgogna questa volta imprigionava Ugo.
Jolanda morì nel castello di Moncalieri il 29 agosto 1478.
Ludovica e la sorella Maria furono condotte da Luigi XI che si considerava loro tutore naturale.
La sua era una preoccupazione interessata, il matrimonio della nipote con Ugo di Chalon gli procurava infatti un importante alleato.
Ludovica, che ricambiava l'affetto del pretendente, acconsentì.
Le nozze furono celebrate solennemente a Digione il 24 agosto 1479.
La sposa aveva diciassette anni e avrebbe anche fatto a meno dello sfarzo dei festeggiamenti,
l’importanza delle due casate però lo imponeva; fu eletta come dimora il castello di Nozeroy.
L'unione fu felice, le due anime si incontrarono in un'intesa perfetta.
Ugo di Chalon era tornato in possesso di un considerevole patrimonio, dagli archivi di Arlay e di Bresançon apprendiamo delle numerose elargizioni dei due sposi a favore dei bisognosi.
Ludovica si dedicava personalmente alla tessitura per distribuire panni ai poveri o per ornare le chiese.
Per entrambi la preghiera era il centro su cui fondare l'unione.
L'idillio, tuttavia, durò solo dieci anni, nel 1490 il dolore colpì nuovamente Ludovica.
Dopo aver assistito, visto spirare e data cristiana sepoltura al consorte, le restava come unico riferimento la fede.
Poteva vivere da ricca vedova nel suo castello o contrarre un nuovo importante matrimonio ma il desiderio, mai sopito, era quello di consacrarsi al Signore.
Padre Perrin la guidò spiritualmente fino all'ingresso nel Monastero di Santa Chiara ad Orbe (Vaud).
Era questa una fondazione della famiglia Chalon a cui aveva assistito Santa Colette, la riformatrice francese delle Clarisse.
Molte volte Ludovica vi si era recata per pregare facendo visita alla cognata Filippina che lì era monaca.
Entrò in monastero nel 1492, dopo essersi spogliata di tutti i suoi beni: il semplice abito francescano prendeva il posto delle vesti preziose.
Da modello di sposa divenne modello di monaca. Grande fu il suo spirito di pietà e di preghiera, in un’atmosfera austera e povera.
Scrisse alcune meditazioni e un piccolo trattato sull'importanza, per un monastero, della fedeltà alla Regola.
Questi manoscritti furono portati dalle suore nel loro trasferimento da Orbe a Evian, ma oggi sono scomparsi.
Nell'ultimo periodo della sua vita Ludovica soffrì di diverse malattie; morì, sussurrando il nome della Vergine Maria, il 24 luglio 1503.
Aveva solo quarant'anni.
Si diffuse subito la fama della sua santità, le prime notizie biografiche vennero scritte da Caterina di Saulx, sua compagna fedele per vent’anni, sia prima che dopo l'entrata in monastero.
Ludovica fu sepolta nel cimitero del convento, poi, quando nel 1531 le monache furono cacciate da Orbe, le sue spoglie, con quelle della cognata Filippina, furono riposte in un'unica cassa di quercia e trasportate nel convento francescano di Nozeroy.
Durante la Rivoluzione Francese il convento fu distrutto, delle tombe, anche se non profanate, si perse ogni traccia.
Nel 1838 Carlo Alberto ottenne dal governo francese e dal Vescovo di S. Claude l’autorizzazione ad effettuare gli scavi alla ricerca della cassa che fu ritrovata in buone condizioni.
Le ossa di Ludovica furono riconosciute dal medico David dopo una scrupolosa perizia, basata sulla diversa altezza e sull’età delle due defunte.
Furono consegnate a Monsignor Vogliotti, Cappellano Regio, affinché venissero trasportate a Torino per essere riposte, con i dovuti onori, nella cappella interna di Palazzo Reale, all'epoca Parrocchia, presso l'altare dedicato al padre B. Amedeo IX (1840).
L’anno precedente Carlo Alberto aveva ottenuto la conferma del culto da Papa Gregorio XVI che fissava la memoria liturgica della Beata al 24 luglio.

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Ludovica di Savoia, pregate per noi.

*Beati Luigi di San Michele dei Santi (Luis de Erdoiza y Zamalloa) e 3 compagni - Martiri trinitari (24 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
1 Scheda: Beati Martiri Spagnoli Trinitari di Cuenca e Jaén - Beatificati nel 2007 - Senza Data (Celebrazioni singole)
2 Scheda: Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007 - (6 novembre)
3 Scheda: Martiri della Guerra di Spagna
+ Cuenca, Spagna, 24 luglio 1936
Luigi di San Michele dei Santi (Luis de Erdoiza y Zamalloa), Melchiorre dello Spirito Santo (Melchor Rodríguez Villastrigo), Santiago di Gesù (Santiago Arriaga y Arrien) e Giovanni della Vergine del Castellar (Juan Francisco Joya y Corralero) sono stati beatificati il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Luigi di San Michele dei Santi e 3 compagni, pregate per noi.

*Santi Magi d’Oriente - Adoratori di Gesù Bambino (24 Luglio)
Persia, I secolo
Si celebra il 24 luglio la memoria della traslazione delle reliquie dei tre Magi d'Oriente adoratori di Cristo da Milano a Colonia in Germania, avvenuta nel 1162 per volere di Federico I Barbarossa.
Nel 1247, visto il grande culto instauratosi, Papa Innocenzo IV concesse speciali indulgenze per i pellegrini.
Il racconto evangelico di Matteo della loro venuta a Betlemme nei secoli successivi ha acceso la curiosità dintorno a queste figure.
Matteo indica nella parola «magi» una categoria di persone pie e venerabili; probabilmente costituivano una casta sacerdotale o di sapienti e studiosi di astrologia.
È incerto il numero di tre così come il tempo della loro adorazione. I nomi comparvero in un manoscritto di Parigi del secolo VII, essi erano Bithisarea, Melchior, Gathaspa; il prete cronista Agnello, nel secolo IX scrisse che i Magi si chiamavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, nomi divenuti poi comuni in Occidente. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Colonia nella Lotaringia, in Germania, traslazione dei tre magi, che, sapienti di Oriente, vennero a Betlemme portando doni a contemplare nel Bambino il mistero della gloria dell’Unigenito.
Il “Martyrologium Romanum” riporta al 24 luglio, la celebrazione della traslazione delle reliquie dei tre Magi da Milano a Colonia in Germania; e in questa città le reliquie sono oggetto di un grande culto e di numerosi pellegrinaggi, sin dal 1162 quando Federico I Barbarossa, dopo aver conquistato Milano, fece trasportare le reliquie a Colonia deponendole nella cattedrale di San Pietro; nel 1247 visto il grande culto instauratosi, papa Innocenzo IV concesse speciali indulgenze per i pellegrini.
Prima di questo trasferimento non si conosceva molto su queste reliquie e sul loro culto; una leggenda del secolo XI diceva che il vescovo Sant' Eustorgio di Milano, le aveva ottenute nel secolo VI dall’imperatore di Costantinopoli e tornando più indietro nel tempo, si racconta che l’imperatrice Sant' Elena, madre di Costantino il Grande, mentre si trovava in Oriente riuscì ad avere i corpi dei tre Magi, trasferendoli in S. Sofia a Costantinopoli.
Poi a seguito dello scisma d’Oriente nessuno più se ne occupò, fin quando Sant' Eustorgio le chiese per Milano, sistemandole nella basilica da lui iniziata a costruire e che prese poi il suo nome.
A completamento delle notizie sulle reliquie, bisogna dire che Marco Polo nel suo “Il Milione” dice che i tre Magi erano venerati nel secolo XIII a Savah in Persia, ritenuta loro città d’origine, in tre tombe bellissime e grandi, le salme erano ancora complete coi capelli e barba; notizia confermata anche dal Beato Odorico da Pordenone, che verso il 1320 si trovò in quella regione; attualmente non esiste traccia dei monumenti; è impossibile per ora conciliare le due versioni, quello che è certo che sin dall’antichità cristiana i Re Magi ebbero un culto sia in Oriente che in Occidente, con la presenza delle loro reliquie.
Ma adesso parliamo di loro, essi erano certamente persiani e contrariamente come si ama rappresentarli, erano tutti e tre di pelle chiara, appunto come i persiani.
L’episodio dell’adorazione del Bambino è raccontato solo nel Vangelo di Matteo (2, 1-2), la narrazione è carente in ordine storico su questi personaggi e del resto molto semplice; durante il regno di Erode il Grande (72 a.C. - 4 d.C.) alcuni Magi di cui non si fa nome, ne il numero, vennero dall’Oriente a Gerusalemme, guidati da una stella apparsa in cielo, per chiedere dove era nato il re dei Giudei; determinando con la loro domanda, sia in Erode sia nel popolo, sorpresa e timore.
Si consultarono i sommi sacerdoti e il Sinedrio e in base al passo di Michea nel Vecchio Testamento, indicarono Betlemme come la città dove il Cristo doveva nascere; Erode stesso lo comunicò ai Magi, pregandoli di comunicargli quando l’avrebbero trovato, affinché anch’egli potesse adorarlo.
Riapparsa la stella con loro gioia, giunsero a Betlemme dove trovarono il Bambino con Maria sua madre e prostrati l’adorarono, poi aperti i loro forzieri gli presentarono i doni: oro, incenso, mirra.
Essendo poi stati avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per un’altra via ritornarono ai loro Paesi.
Fin qui il racconto evangelico, che però nei secoli e millenni successivi ha acceso la curiosità di studiosi e la fantasia creativa di tanti artisti che li hanno raffigurati in adorazione nelle loro ‘Natività’ e scolpiti nei presepi aulici o popolari, vestiti a volte da re, maghi, notabili orientali, con il seguito di servitori, cavalli, cammelli, ecc., in atto di porgere con adorazione i loro doni.
Chi erano?
Matteo indica nella parola ‘Magi’ una categoria di persone pie, degne di stima e venerazione, visto che Dio indica proprio a loro l’avvento dell’inizio della Redenzione con la venuta di Cristo; ma nel Vecchio Testamento la parola indica, astrologi, incantatori, maghi; probabilmente costituivano una casta sacerdotale o di sapienti che seguivano la dottrina religiosa di Zoroastro.
Del resto essi si mossero dalla Persia, perché essendo studiosi di astrologia, avevano visto la stella luminosa, dandole un significato straordinario, nella stessa dottrina di Zoroastro si parlava di un “soccorritore partorito da una fanciulla senza che alcun uomo l’avvicini”, che avrebbe ristabilito il regno del bene e del male e la cui nascita sarebbe stata segnalata dall’apparizione di un astro luminoso.
Conoscendo che il popolo ebraico aspettava nella loro religione un messia, si recarono quindi a Gerusalemme, secondo alcuni esegeti, non è escluso che Dio illuminasse con grazia speciale il loro animo.
Che fossero re, come spesso sono chiamati, è solo un’ipotesi, la maggior parte degli studiosi li descrissero come uomini sapienti, amanti dei segreti del cielo e desiderosi della verità.
Anche il numero di tre è incerto, nelle pitture dei primi secoli essi sono raffigurati in numero di due, quattro, sei, otto; il primo storico ad indicare il numero di tre è Origene (183-254), teologo e filosofo
cristiano e sembra basarsi sul numero dei tre doni portati.
Il tempo dell’episodio della loro adorazione, sembra secondo alcuni Padri, che avvenne quando il Bambino Gesù avesse sui due anni; questa interpretazione sarebbe confermata dai dipinti dei primi secoli, dove il Bambino appare già grandicello, del resto Erode nella famigerata ‘strage degli Innocenti’ fece uccidere tutti i Bambini fino ai due anni, Sant' Agostino invece riferisce esattamente il tempo: tredici giorni dopo la nascita.
I Magi comunque nel tempo furono oggetto di numerose leggende, diverse l’una dall’altra e che fiorirono in tutti i Paesi Orientali.
I doni sono simbolici ma inerenti all’uso dei tempi, l’oro è chiaro sinonimo di ricchezza e benessere, la mirra un profumo semiliquido, usato anche come sostanza purificante, gli Egizi l’usavano con altre sostanze per l’imbalsamazione; l’incenso prezioso prodotto di piante che crescono fra le rocce ed anfratti e il cui uso, bruciandone le scaglie, produce un odore, da sempre usato in tutte le corti orientali per il fasto, l’omaggio, l’adorazione; anche i Romani ne appresero l’uso e da loro è passato anche nelle cerimonie liturgiche del Cristianesimo.
I nomi comparvero in un manoscritto di Parigi del secolo VII, che è il più antico documento conosciuto, essi erano Bithisarea, Melchior, Gathaspa; il prete cronista Agnello, invece nel secolo IX scrisse che i Magi si chiamavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, nomi che sono poi divenuti comuni in tutto l’Occidente.
E da questo secolo, la fantasia popolare e quella degli studiosi dell’epoca, viaggiò veloce; dei tre, Baldassarre divenne un nero, inoltre alcuni si misero a descrivere anche come erano vestiti, facendoli provenire a seconda degli abiti da luoghi diversi; diedero loro un’età e simboli, Gaspare la giovinezza, Baldassarre la maturità, Melchiorre la vecchiaia; inoltre finirono per simboleggiare, essendo “tre re”, le tre razze umane: Melchiorre discendente di Cam, Baldassarre discendente di Sem, Gaspare discendente di Iaphet, cioè le razze africana, asiatica ed europea.
Ancora un libro scritto nel secolo XIV li classifica: Melchiorre re della Nubia, Baldassarre re di Godolia col regno di Saba, Gaspare re dell’isola Egriseula; sarebbero stati battezzati da Sant' Tommaso apostolo, giunto in seguito nella regione e consacrati vescovi; il tutto giustificandolo con il lungo periodo delle loro vite Melchiorre (116 anni), Baldassarre (112 anni), Gaspare (109 anni), come si vede la fantasia ha molto lavorato.
Per l’iconografia che li riguarda, occorrerebbe un libro intero dedicato solo a loro; tutti i più grandi artisti di tutti i tempi li hanno raffigurati e la loro memoria si è così diffusa da pervenire, sia pur modificata nel vestire e nelle interpretazioni fino a noi; i cristiani riconoscono in loro i testimoni della ‘rivelazione’ della venuta di Cristo, subito dopo gli umili pastori, comprendendo così tutto il genere umano nella sua umiltà, sapienza, regalità.
Fino a poco tempo fa in Occidente il giorno dell’Epifania (6 gennaio) era considerato soprattutto la manifestazione di Cristo ai Gentili, cioè veniva considerata come la festa dei Re Magi; con il nuovo ‘Martyrologium Romanum’ invece ci si è affiancati alla tradizione orientale, cui in questo giorno si celebrano le varie manifestazioni di Gesù, come l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù, il miracolo delle nozze di Cana. Ai soli Magi è stata riservata, come detto all’inizio, la memoria della traslazione delle reliquie al 24 luglio.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Magi d’Oriente, pregate per noi.

*Beata Maria degli Angeli di San Giuseppe (Marciana Valtierra Tordesillas) - Carmelitana, Martire (24 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Beate Martiri Spagnole Carmelitane Scalze di Guadalajara” (24 luglio)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Gerafe (Madrid), 6 marzo 1905 – Guadalajara (Spagna), 24 luglio 1936

Martirologio Romano: A Guadalajara in Spagna, Beate Maria del Pilar di San Francesco Borgia (Giacoma) Martínez García, Teresa di Gesù Bambino (Eusebia) García García e Mariangela di San Giuseppe (Marciana) Voltierra Tordesillas, vergini dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martiri, che in tempo di persecuzione raggiunsero la corona del martirio acclamando con gioia Cristo Sposo.
La vicenda del martirio di suor Maria degli Angeli di S. Giuseppe, al secolo Marciana Valtierra Tordesillas e delle sue due compagne di martirio, suor Teresa del Bambino Gesù e di S. Giovanni della Croce, al secolo Eusebia García y García, e suor Maria Pilar di S. Francesco Borgia, al secolo Jacoba Martínez García, tutte e tre appartenenti all’Ordine delle Carmelitane Scalze, dicevamo il loro martirio è compreso nella grande carneficina che insanguinò la Spagna con la Guerra Civile del 1936-39.
Per opportunità politiche, per lungo tempo, si è steso un velo su quegli sconvolgimenti che coinvolsero una parte della cattolicissima Spagna, ma soprattutto la Chiesa di quelle diocesi, che fra vescovi, sacerdoti diocesani, seminaristi, religiosi e suore di tanti Ordini monastici, subì la perdita di più di 7.300 membri, tutti martiri della barbarie anticattolica, che si era scatenata con la Guerra Civile, fra nazionalisti e miliziani rossi.
Nel cieco furore della caccia ai religiosi, non si badò se fossero sacerdoti o suore, se impegnati nelle corsie degli ospedali o maestri indiscussi del sapere nelle scuole, ne se fossero molto vecchi e malati o giovani studenti dei seminari e collegi, ne suore chiuse nel silenzio della clausura o dedite all’assistenza di orfani; la loro morte fu voluta perché membri della Chiesa e questo dà loro il titolo di martiri.
Cambiate le situazioni politiche in Europa, si stanno portando alla luce e quindi alla conoscenza del popolo cattolico, queste eroiche figure, che hanno subito sofferenze e morte violenta, in Spagna come in altre Nazioni europee; precorrendo il grande disastro della Seconda Guerra Mondiale, con tanti altri martiri uccisi dai regimi totalitari che si sono succeduti, nell’insanguinato Novecento.
Papa Giovanni Paolo II, durante il suo lungo pontificato ne ha beatificati a centinaia e tanti stanno per esserlo, con il completamento delle Cause accertanti il martirio, le virtù, i miracoli di ognuno.
E il 29 marzo 1987, nella Basilica di S. Pietro, beatificò le tre monache professe dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, fissandone la festa comune al 24 luglio.
Per ognuna c’è una scheda propria in questo sito, con un’introduzione unica, che comprende anche la parte finale della loro vita, perché Dio volle che morissero insieme.
La città di Guadalajara il 22 luglio 1936, cadde in mano ai miliziani rossi e la carmelitane del monastero di S. Giuseppe, dovettero abbandonarlo in abiti civili e a gruppi riparare presso conoscenti.
Il 24 luglio le tre religiose mentre cercavano un luogo più sicuro, furono riconosciute per strada da una miliziana rossa, la quale incitò i suoi compagni che erano con lei, a sparare su di loro.
La prima a cadere fu Maria Angeles che morì quasi subito; poi fu la volta di Maria Pilar che morì
dissanguata alcune ore dopo, nell’ospedale della Croce Rossa dove era stata trasportata, invocando da Dio il perdono per i suoi uccisori; infine per ultima venne uccisa la più giovane, Teresa del Bambino Gesù, la quale dopo aver resistito a delle offerte disoneste, fu fucilata presso il cimitero, mentre gridava: “Viva Cristo Re”.
Per fortuna in tanto orrore che imperversava nelle città e paesi, i corpi furono subito raccolti e identificati e quindi poterono essere conservati e il 10 luglio 1941 debitamente riconosciuti; due giorni dopo le salme vennero trasferite solennemente al loro Carmelo di Guadalajara, dove sono state sempre oggetto di devozione dei fedeli, che vi giungono in pellegrinaggio.
Il primo processo per il riconoscimento del martirio, venne fatto a Guadalajara - Siguenza negli anni 1955-58; dopo il ‘silenzio’ imposto a tutte le Cause relative ai martiri della Guerra Civile spagnola, essa fu ripresa nel 1982 e dopo tutti i successivi processi positivi, si giunse alla beatificazione come detto all’inizio.
Si aggiunge qualche cenno sulla vita di Maria degli Angeli:
Marciana Valtierra Tordesillas nacque a Gerafe (Madrid) il 6 marzo 1905, poco lontano dal Cerro de los Angeles; era l’ultima dei dieci figli di una famiglia benedetta, perché ben quattro vocazioni religiose sbocciarono fra loro e dei quali due subirono il martirio, Marciana e il fratello Celestino delle Scuole Pie.
Marciana fu educata in famiglia dalla sorella Marcellina, che diventò poi monaca Concezionista; in seguito si formò presso le Suore della S. Famiglia di Gerafe. Avendo letto e meditato il libro “Storia di un’anima” di S. Teresa di Lisieux, fu attirata fin da ragazza dal Carmelo, dove non poté entrare subito, per le necessità familiari.
Si dedicò alle opere parrocchiali, collaborando alle Conferenze di S. Vincenzo, alle Missioni; diventando collaboratrice assidua del carmelitano Venerabile Giovanni Vincenzo Zengotita (1862-1943) specie nella diffusione dei “Cuori Mariani” per le missioni, di cui divenne membro il 29 marzo 1924. A 24 anni il 14 luglio 1929 entrò nel Carmelo di S. Giuseppe di Guadalajara, dove nel 1930 iniziò il noviziato prendendo il nome di Maria degli Angeli di S. Giuseppe; il 21 gennaio 1934 fece la professione solenne.
Complessivamente visse nel monastero solo sei anni, eppure ebbe il tempo di dimostrare le virtù che possedeva e praticava; una forte carità verso Dio e il prossimo, moderazione, prudenza e una straordinaria maturità.
Quando ancora non si sapeva niente degli avvenimenti, che le avrebbe coinvolte, espresse alla priora il desiderio di morire martire. Quando fu uccisa dai miliziani rossi aveva 31 anni.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria degli Angeli di San Giuseppe, pregate per noi.

*Beate Maria Angeles Pilar di San Francesco Borgia (Jacoba Martinez Garcia) e Pilar Teresa - Carmelitane, Martiri (24 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartiengono:
“Beate Martiri Spagnole Carmelitane Scalze di Guadalajara” (24 luglio)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Tarazona (Saragozza), 30 dicembre 1877 – Guadalajara (Spagna), 24 luglio 1936

Martirologio Romano:
A Guadalajara in Spagna, Beate Maria del Pilar di San Francesco Borgia (Giacoma) Martínez García, Teresa di Gesù Bambino (Eusebia) García García e Mariangela di San Giuseppe (Marciana) Voltierra Tordesillas, vergini dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martiri, che in tempo di persecuzione raggiunsero la corona del martirio acclamando con gioia Cristo Sposo.
La vicenda del martirio di suor Maria Pilar di San Francesco Borgia, al secolo Jacoba Martínez García e delle sue due compagne di martirio, suor Maria degli Angeli di S. Giuseppe, al secolo Marciana Valtierra Tordesillas e suor Teresa del Bambino Gesù e di San Giovanni della Croce, al secolo Eusebia García y García, tutte e tre appartenenti all’Ordine delle Carmelitane Scalze, dicevamo il loro martirio è compreso nella grande carneficina che insanguinò la Spagna con la Guerra Civile del 1936-39.
Per opportunità politiche, per lungo tempo, si è steso un velo su quegli sconvolgimenti che coinvolsero una parte della cattolicissima Spagna, ma soprattutto la Chiesa di quelle diocesi, che fra vescovi, sacerdoti diocesani, seminaristi, religiosi e suore di tanti Ordini monastici, subì la perdita di più di 7.300 membri, tutti martiri della barbarie anticattolica, che si era scatenata con la Guerra Civile, fra nazionalisti e miliziani rossi.
Nel cieco furore della caccia ai religiosi, non si badò se fossero sacerdoti o suore, se impegnati nelle corsie degli ospedali o maestri indiscussi del sapere nelle scuole, ne se fossero molto vecchi e malati o giovani studenti dei seminari e collegi, ne suore chiuse nel silenzio della clausura o dedite all’assistenza di orfani; la loro morte fu voluta perché membri della Chiesa e questo dà loro il titolo di martiri.
Cambiate le situazioni politiche in Europa, si stanno portando alla luce e quindi alla conoscenza del popolo cattolico, queste eroiche figure, che hanno subito sofferenze e morte violenta, in Spagna come in altre Nazioni europee; precorrendo il grande disastro della Seconda Guerra Mondiale, con tanti altri martiri uccisi dai regimi totalitari che si sono succeduti, nell’insanguinato Novecento.
Papa Giovanni Paolo II, durante il suo lungo pontificato ne ha beatificati a centinaia e tanti stanno per esserlo, con il completamento delle Cause accertanti il martirio, le virtù, i miracoli di ognuno.
E il 29 marzo 1987, nella Basilica di S. Pietro, beatificò le tre monache professe dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, fissandone la festa comune al 24 luglio.
Per ognuna c’è una scheda propria in questo sito, con un’introduzione unica, che comprende anche la parte finale della loro vita, perché Dio volle che morissero insieme.
La città di Guadalajara il 22 luglio 1936, cadde in mano ai miliziani rossi e la carmelitane del monastero di S. Giuseppe, dovettero abbandonarlo in abiti civili e a gruppi riparare presso conoscenti.
Il 24 luglio le tre religiose mentre cercavano un luogo più sicuro, furono riconosciute per strada da una miliziana rossa, la quale incitò i suoi compagni che erano con lei, a sparare su di loro.
La prima a cadere fu Maria Angeles che morì quasi subito; poi fu la volta di Maria Pilar che morì dissanguata alcune ore dopo, nell’ospedale della Croce Rossa dove era stata trasportata, invocando da
Dio il perdono per i suoi uccisori; infine per ultima venne uccisa la più giovane, Teresa del Bambino Gesù, la quale dopo aver resistito a delle offerte disoneste, fu fucilata presso il cimitero, mentre gridava: “Viva Cristo Re”.
Per fortuna in tanto orrore che imperversava nelle città e paesi, i corpi furono subito raccolti e identificati e quindi poterono essere conservati e il 10 luglio 1941 debitamente riconosciuti; due giorni dopo le salme vennero trasferite solennemente al loro Carmelo di Guadalajara, dove sono state sempre oggetto di devozione dei fedeli, che vi giungono in pellegrinaggio.
Il primo processo per il riconoscimento del martirio, venne fatto a Guadalajara - Siguenza negli anni 1955-58; dopo il ‘silenzio’ imposto a tutte le Cause relative ai martiri della Guerra Civile spagnola, essa fu ripresa nel 1982 e dopo tutti i successivi processi positivi, si giunse alla beatificazione come detto all’inizio.
Si aggiunge qualche cenno sulla vita di Maria Pilar:
Jacoba Martínez García nacque a Tarazona (Saragozza) in Spagna, il 30 dicembre 1877 e battezzata lo stesso giorno. In famiglia ci fu già la sorella maggiore che scelse il Carmelo, e che al tempo della Guerra Civile era priora del monastero di S. Giuseppe di Guadalajara.
Jacoba che aveva trascorso i primi anni in famiglia e la gioventù accanto al fratello sacerdote a Torellas e poi a Corella, collaborando attivamente all’azione pastorale, rimase commossa dalla professione carmelitana della sorella maggiore e ciò determinò la sua scelta di entrare nello stesso Carmelo il 12 ottobre 1898 a 21 anni, facendo la vestizione e prendendo il nome di Maria Pilar di San Francesco Borgia.
Dopo l’anno di noviziato fece la professione il 15 ottobre 1899; nella sua vita di religiosa ebbe l’incarico di sagrestana e di rotaria (portinaia), fu una suora di profonda fede e di grande devozione eucaristica.
Notizie su di lei ce ne sono giunte poche, del resto era una suora di clausura e la sua vita, come quelle delle consorelle si consumò nell’amore di Dio e nel nascondimento; nel 1930 scrisse: “Unione con Gesù, fare tutte le cose per Suo amore, spiritualizzandole per amore di Dio, in modo che tutto sia compiuto in Dio e per Dio”, proposito che si sforzò di vivere con una gioiosa coerenza.
Nel 1933 scrisse: “Perché sono carmelitana? Per essere un’anima tutta di Dio ed essere una grande santa”; negli ultimi giorni di quel luglio 1936, si offrì vittima a Dio, per la salvezza e l’incolumità delle consorelle, accettando anche l’idea di un possibile martirio: “Se ci porteranno al martirio, vi andremo cantando, come le nostre martiri di Compiègne. Canteremo: Cuore di Gesù, tu regnerai”.
Quando fu barbaramente uccisa aveva 59 anni.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Pilar di San Francesco Borgia e Teresa Pilar, pregate per noi.

*Beate Martiri Spagnole Carmelitane Scalze di Guadalajara (24 Luglio)

Scheda del Gruppo a cui appartengono:
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

+ Guadalajara, Spagna, 24 luglio 1936
Martirologio Romano:
A Guadalajara in Spagna, Beate Maria del Pilar di San Francesco Borgia (Giacoma) Martínez García, Teresa di Gesù Bambino (Eusebia) García García e Mariangela di San Giuseppe (Marciana) Voltierra Tordesillas, vergini dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martiri, che in tempo di persecuzione raggiunsero la corona del martirio acclamando con gioia Cristo Sposo.
La vicenda del martirio di suor Maria Pilar di San Francesco Borgia e delle sue due compagne di martirio, suor Maria degli Angeli di San Giuseppe e suor Teresa del Bambino Gesù e di S. Giovanni della Croce, tutte e tre appartenenti all’Ordine delle Carmelitane Scalze, è compreso nella grande carneficina che insanguinò la Spagna con la Guerra Civile fra nazionalisti e miliziani rossi del 1936-39.
Nel cieco furore della caccia ai religiosi queste sorelle del Carmelo Teresiano hanno testimoniato, fino all'effusione del sangue, la loro fedeltà agli impegni battesimali e alla professione religiosa, vivendo nel loro monastero la semplicità di una vita in cui tutto, anche le briciole, i piccoli niente sono trasformati in offerta d'amore per i fratelli.
La tormenta della rivoluzione le sorprese, ma non le sgomentò: continuarono a vivere la loro esistenza di silenzioso sacrificio, preparandosi così nel quotidiano a ricevere quel dono, quella grazia del martirio che le situazioni allucinanti della guerra civile facevano prevedere.

Beata Maria Pilar di S. Francesco Borgia (Jacoba Martinez Garcia)
Jacoba Martínez García, undicesima figlia di Gabino e Luisa, nacque a Tarazona (Saragozza) in Spagna, il 30 dicembre 1877 e fu battezzata lo stesso giorno. Questi poveri genitori furono provati dalla morte di sei bambini, deceduti in tenera età.
In famiglia ci fu già la sorella maggiore che scelse il Carmelo, e che al tempo della Guerra Civile era Priora del monastero di S. Giuseppe di Guadalajara.
Jacoba che aveva trascorso i primi anni in famiglia e la gioventù accanto al fratello sacerdote a Torellas e poi a Corella, collaborando attivamente all’azione pastorale, rimase commossa dalla professione carmelitana della sorella maggiore e ciò determinò la sua scelta di entrare nello stesso Carmelo il 12 ottobre 1898 a 21 anni, facendo la vestizione e prendendo il nome di Maria Pilar di S. Francesco Borgia. Dopo l’anno di noviziato fece la professione il 15 ottobre 1899; notizie su di lei ce ne sono giunte poche, del resto era una suora di clausura e la sua vita, come quelle delle consorelle si consumò nell’amore di Dio e nel nascondimento. Visse trentasette anni di vita monastica: ebbe come Priora per lunghi anni sua sorella, Madre Araceli.
Nella sua vita di religiosa ebbe l’incarico di sagrestana e di rotaria (portinaia); era molto laboriosa e solerte nei vari e numerosi incarichi di lavoro svolti per obbedienza e si distingueva davvero per il suo amore al lavoro.
Fu una suora di profonda fede e di grande devozione eucaristica. Le piaceva trascorrere ore intere davanti al SS. Sacramento, specialmente la domenica e i giorni festivi. Amava però molto lo stare in cella e si distingueva per il suo raccoglimento. Aveva molta devozione per la SS. Vergine, S. Giuseppe e i Santi dell'Ordine e una speciale venerazione per il Papa e i Superiori, offrendo per loro preghiere e sacrifici.
Era dotata di un carattere socievole, espansivo, vivace; si sapeva rendere gradevole e simpatica. Pur avendo avuto qualche contrasto ogni tanto con le sorelle, in generale sapeva esercitare bene con le altre la carità e l'amore fraterno. Era tanto desiderosa di raggiungere la santità e l'unione con Dio. Lo si rileva anche dai suoi scritti e dai propositi dei suoi Esercizi, specialmente in quelli degli ultimi anni, prima della sua morte. Nel 1930 scrisse: “Unione con Gesù, fare tutte le cose per Suo amore, spiritualizzandole per amore di Dio, in modo che tutto sia compiuto in Dio e per Dio”, proposito che si sforzò di vivere con una gioiosa coerenza.
Nel 1933 scrisse: “Perché sono carmelitana? Per essere un’anima tutta di Dio ed essere una grande santa”; negli ultimi giorni di quel luglio 1936, si offrì vittima a Dio, per la salvezza e l’incolumità delle consorelle, accettando anche l’idea di un possibile martirio: “Se ci porteranno al martirio, vi andremo cantando, come le nostre martiri di Compiègne. Canteremo: Cuore di Gesù, tu regnerai”.
Quando fu barbaramente uccisa aveva 59 anni.

Beata Maria degli Angeli di S. Giuseppe (Marciana Valtierra Tordesillas)
Marciana Valtierra Tordesillas nacque a Gerafe (Madrid) il 6 marzo 1905, poco lontano dal Cerro de los Angeles; era l’ultima dei dieci figli di una famiglia benedetta, perché ben quattro vocazioni religiose sbocciarono fra loro e dei quali due subirono il martirio, Marciana e il fratello Celestino delle Scuole Pie. Da piccola cadde gravemente ammalata, ma guarì, raccomandata dalla sorella a S. Antonio, quasi miracolosamente.
Marciana fu educata in famiglia dalla sorella Marcellina, che diventò poi monaca Concezionista; in seguito si formò presso le Suore della S. Famiglia di Gerafe. Avendo letto e meditato il libro “Storia di un’anima” di S. Teresa di Lisieux, fu attirata fin da ragazza dal Carmelo, dove non poté entrare subito, per le necessità familiari.
Si dedicò alle opere parrocchiali, collaborando alle Conferenze di S. Vincenzo, alle Missioni; diventando collaboratrice assidua del carmelitano Venerabile Giovanni Vincenzo Zengotita (1862-1943) specie nella diffusione dei “Cuori Mariani” per le missioni, di cui divenne membro il 29 marzo 1924.
A 24 anni il 14 luglio 1929 entrò nel Carmelo di S. Giuseppe di Guadalajara, dove nel 1930 iniziò il noviziato prendendo il nome di Maria degli Angeli di S. Giuseppe; il 21 gennaio 1934 fece la professione solenne.
Come lo era stata nella sua casa, fu anche la beniamina del Monastero, era davvero molto buona, vivace, sottomessa a tutti e umile.
Divenne guardarobiera del Monastero e aiutò la sorella sacrestana: sapeva fare bene ogni lavoro e aveva una certa abilità nel dipingere. Era suo desiderio compiere bene la volontà di Dio sempre: ogni tanto diceva "Quanto sospiro la vita eterna e il momento in cui mi unirò per sempre a Dio!"
In ricreazione soprattutto sapeva rallegrare con le sue diverse trovate le sorelle; dimostrava sempre un'inalterabile serenità, anche quando era stanca e debole di salute. Aveva una speciale devozione per l'Eucaristia, per la SS. Vergine e per S. Giuseppe.
Visse in Monastero solo sette anni eppure ebbe il tempo di dimostrare le virtù che possedeva e praticava; una forte carità verso Dio e il prossimo, moderazione, prudenza e una straordinaria maturità.
Quando ancora non si sapeva niente degli avvenimenti, che le avrebbe coinvolte, espresse alla Priora il desiderio di morire martire. Quando fu uccisa dai miliziani rossi aveva 31 anni.

Beata Teresa del Bambino Gesù e di S. Giovanni della Croce (Eusebia Garcia)
Eusebia García y García, nacque a Mochales (Guadalajara) il 5 marzo 1909; era la secondogenita di otto figli. Un fratello di Eusebia, Giuliano, divenne sacerdote, un altro, Quintino, gesuita ed un terzo si fece pure, in seguito, sacerdote.
Fu educata in famiglia e a sette anni fu portata a Siguenza in casa dello zio materno, Florentino García, sacerdote, canonico e segretario del vescovo, che morì anch’egli vittima della persecuzione di quel tempo.
Come l’altra consorella Maria degli Angeli, anche Eusebia fu affascinata dalla lettura di “Storia di un’anima” della grande mistica carmelitana francese S. Teresa di Lisieux; con la guida dello zio s’impegnò per una vita religiosa, fra i nove e gli undici anni fece il voto di castità.
Ricevette un’educazione appropriata presso le Orsoline; quando lasciò il Collegio, con la guida del santo zio entrò nel Carmelo di Guadalajara il 2 maggio 1925. Al Monastero fu subito accolta bene: piaceva la sua semplicità, la sua gioia e il suo entusiasmo, la sua espansività che sapeva, soprattutto in ricreazione, comunicare alle altre.
Le diedero il nome di "Teresa di Gesù Bambino", nome che alla Professione solenne, per la quale dovette aspettare fino ai ventun anni, cambierà in quello di "Teresa di Gesù Bambino e di S. Giovanni della Croce" . . Padre Fabiano, che la conosceva, la descrive "monaca candida e angelica". Ebbe come Maestra di noviziato la Madre Araceli, sorella di Suor Maria Pilar.
Fece la prima professione con questo programma di vita: “Canterò in eterno le misericordie del Signore. Il mio motto: l’amore si paga con l’amore…”. Il 6 marzo 1936 fece la professione solenne continuando nel cammino della perfezione con un impegno straordinario, stabilendosi delle norme di
vita molto precise, dando ad ogni atto il sigillo di tre grandi realtà: “Amore, fedeltà, abbandono”.
Aveva un’anima di artista e grande musicista; era felice di darsi e consumarsi per il prossimo.
Suor Teresa era molto giudiziosa, osservante della Regola, piena di carità verso le sorelle, soprattutto verso le ammalate che, come infermiera, doveva curare. Le piaceva fare i lavori più umili, per aiutare le sorelle, diceva spesso: "Come mi piace sentirmi stanca!", immolandosi e offrendosi per i peccatori.
Aveva un temperamento forte ed era di carattere impetuoso, dovette farsi in questo molta violenza per vincersi completamente: aveva la tendenza di dominare le altre e dovette esercitarsi molto nell'umiltà.
Era un'anima eucaristica e stava volentieri vicino al Tabernacolo; tutti i giovedì faceva l'ora santa, dalle undici a mezzanotte. Anelava ad amare Dio fino alla pazzia, lavorando con tutte le sue forze per ottenere di stare alla continua presenza di Dio; tutto quello che riguardava la liturgia l'entusiasmava assai.
Nel 1930, in una lettera, scrisse: "L'unica cosa che ho sono i desideri grandissimi di essere santa, di essere tutta di Gesù... di ripagargli ' amore con amore".
Si offerse come Vittima all'Amore misericordioso, desiderando tanto diventare martire.
Sentendo approssimarsi la bufera della rivoluzione che l’avrebbe travolta insieme alle sue consorelle, affermò: “Potessi ripetere questo grido di ‘Viva Cristo Re’ sotto la ghigliottina”. E questa esclamazione fu veramente l’ultima cosa che poté proferire, quando fu uccisa a soli 27 anni.

Il martirio
La città di Guadalajara, il 22 luglio 1936, cadde in mano ai miliziani rossi e la carmelitane del monastero di S. Giuseppe, dovettero abbandonarlo in abiti civili e a gruppi riparare presso conoscenti. Le monache abbandonarono il Monastero, prendendo la Pisside dal Tabernacolo; il cappellano riuscì a donare a tutte l'Eucaristia, come viatico.
Esse uscirono dal Monastero a due a due, lasciando una certa distanza le une dalle altre e si diressero in sei luoghi differenti prestabiliti. Una delle monache, che meglio dissimulava la sua condizione, andava al Monastero per portare alle sorelle le provviste per mangiare.
Suor Maria Angela passò una notte insieme alla Madre Araceli e le disse: "O Madre, se fossimo martiri!" Lo stesso sentimento avevano Suor Pilar e Suor Teresa.
Il 24 luglio la situazione peggiorò le monache dovettero disperdersi. Poiché Suor Teresa conosceva una signora che ne poteva ospitare altre due, la Madre decise di mandarvi Suor Pilar e Suor Maria Angela. Esse uscirono infatti alle quattro del pomeriggio.
Dopo un quarto d'ora le sorelle rimaste nella pensione sentirono detonazioni e pregarono, ma ignorando del tutto che si trattava delle loro sorelle.
Le tre sorelle infatti entrarono nel portone della casa dell'amica. Un gruppo di miliziani se ne accorse, gridando: "Sono monache, sono monache!" le obbligarono ad uscire sulla strada. la prima fu Suor Maria Angela: le spararono vari colpi ed ella cadde al suolo ferita mortalmente.
Suor Pilar, pure ferita, riuscì a fare qualche passo e poi cadde a terra. Gridò: "Viva Cristo Re! Mio Dio perdonateli!" I miliziani spararono ancora e le fecero una grande ferita con l'arma bianca. Una delle guardie d'assalto riuscì a portare la suora ferita nella farmacia vicina e poi alla Croce Rossa, qui si udì Suor Pilar dire varie volte: "Dio mio perdonateli, perché non sanno quello che fanno... mio Dio, quanto costa morire!". Aveva una grande ferita al ventre. Il dottore la fece portare all'ospedale, dove morì poco tempo dopo.
Suor Teresa, uscita dal portone, voleva entrare nell'albergo Palace, ma i miliziani con l'inganno glielo impedirono e la portarono verso il cimitero.
Tentarono poi di farle gridare: "Viva il comunismo!" Ma ella, cominciando a correre, gridò: "Viva Cristo Re!" Allora i miliziani le spararono alle spalle, ella cadde e morì.
Le tre carmelitane spagnole hanno il "privilegio" di subire il martirio proprio il giorno in cui - allora - al Carmelo si celebrava la memoria dei martiri francesi (il 24 luglio appunto). Sognavano il martirio, come le consorelle francesi di Compiègne salite sul patibolo al canto della SALVE REGINA il 17 luglio 1794.
Per fortuna in tanto orrore che imperversava nelle città e paesi, i corpi furono subito raccolti e identificati e quindi poterono essere conservati e il 10 luglio 1941 debitamente riconosciuti; due giorni dopo le salme furono trasferite solennemente al loro Carmelo di Guadalajara, dove sono state sempre oggetto di devozione dei fedeli, che vi giungono in pellegrinaggio.
Il primo processo per il riconoscimento del martirio, venne fatto a Guadalajara - Siguenza negli anni 1955-58; dopo il ‘silenzio’ imposto a tutte le Cause relative ai martiri della Guerra Civile spagnola, essa fu ripresa nel 1982 e dopo tutti i successivi processi positivi, si giunse alla beatificazione. Papa Giovanni Paolo II, il 29 marzo 1987, nella Basilica di S. Pietro, beatificò le tre monache professe dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, fissandone la festa comune al 24 luglio.

(Fonte: www.carmelosicilia.it)
Giaculatoria - Beate Martiri Spagnole Carmelitane Scalze di Guadalajara, pregate per noi.

*Beata Mercedes del Sacro Cuore (Mercedes Prat Y Prat) - Martire (24 Luglio)
Barcellona, 6 marzo 1880 - Barcellona, 24 luglio 1936
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: Presso Barcellona sempre in Spagna, Beata Mercedes Prat, vergine della Società di Santa Teresa di Gesù e martire, che nella stessa persecuzione subì il martirio in quanto religiosa.
Nacque a Barcellona il 6 marzo 1880, in una famiglia cristiana, un fratello era un sacerdote, frequentò sin da piccola le religiose della Compagnia di Santa Teresa dove nella loro Casa-madre ricevette la Prima Comunione.
Rimasta orfana, intraprese gli studi in Belle Arti, mentre si dedicava alle opere di carità e mortificazione, fu catechista generosa delle giovani operaie e delle domestiche alle quali insegnava
pure a leggere e scrivere.
Nel 1905 entrò nella Compagnia di Santa Teresa aggiungendo al suo nome Mercedes quello del Sacro Cuore di Gesù.
Fece la sua professione il 10 maggio 1907.
Insegnò in vari collegi della Compagnia, ricoprendo man mano incarichi di responsabilità sempre espletati nella stima e apprezzamento di tutti.
Una teresiana secondo il pensiero di Dio.
Nel 1920 venne trasferita a San Gervasio di Barcellona e lì venne sorpresa dalla rivoluzione della guerra civile spagnola nel luglio 1936. Rifugiatosi con un gruppo di consorelle in una casa privata, il 23 luglio ebbe l’ordine di raggiungere la casa di una sorella insieme a suor Gioacchina Miguel.
Per la strada furono intercettate e riconosciute come religiose, cosa che lei confermò subito e portate in una casa dove erano già altre religiose e un giovane religioso.
Fu sottoposta a simulazione di fucilazione e vari maltrattamenti e nella notte del 24 fu portata insieme agli altri sulla via “Rebassada”, sempre nel circondario di Barcellona e lì fucilati.
Ferita a morte sopravvisse alcune ore fra dolori immensi sopportati con la preghiera sulle labbra, l’ultima fu il ‘Padre nostro’ poi i suoi lamenti furono uditi dal miliziani che ripassavano per quel posto e le spararono di nuovo, morì dissanguata per le ferite.
La suora Gioacchina Miguel nonostante fosse stata fucilata con lei, poté sopravvivere e diventare così una testimone efficace del martirio, quando le chiuse gli occhi vide in essa “un angelo di dolore”. É stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 29 aprile 1990.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Mercedes del Sacro Cuore, pregate per noi.

*Beato Modestino di Gesù e Maria (Domenico Mazzarella) - Francescano (24 Luglio)
Frattamaggiore (NA), 5 settembre 1802 - 24 luglio 1854
Martirologio Romano:
A Napoli, Beato Modestino di Gesù e Maria (Domenico) Mazzarello, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che fu vicino a ogni genere di poveri e di afflitti e durante un’epidemia morì colpito lui stesso dal colera mentre assisteva i moribondi.
Domenico Mazzarella nacque a Frattamaggiore (NA) il 5-9-1802 da genitori poveri, il papà funaio, la mamma tessitrice, ultimo di sei figli.
Frequentò prima la scuola parrocchiale di San Sossio poi dietro invito del vescovo di Aversa stette tre anni in seminario come inserviente del Capitolo del Duomo, per l’improvvisa morte del vescovo, fu costretto a lasciare quest’incarico e ormai ventenne cominciò a frequentare il convento francescano alcantarino di Grumo Nevano, scoprendo così la vocazione religiosa.
Nel 1822 vestì l’abito a Piedimonte Matese trascorrendo un periodo di ritiro nell’eremo della “Solitudine”.
Il 22-12-1827 fu ordinato sacerdote e la prima Messa la celebrò in Grumo Nevano. Comincia l’infaticabile opera d’apostolato di P. Modestino nella stessa Grumo Nevano, a Marcianise, a Portici, a Mirabella Eclano, a Pignataro Maggiore e poi a Napoli a Santa Lucia al Monte, ma soprattutto nel popolare rione della Sanità.
Si dedicò all’annuncio della Parola di Dio con linguaggio facile, popolare ed evangelico, alla direzione spirituale, soprattutto per lunghe ore alle confessioni.
Ebbe particolare cura per i carcerati del “Granatello” di Portici e di Castel Capuano di Napoli, visitava
gli ospedali e i ‘bassi’ della città. Agli ammalati portava l‘immagine della Madonna del Buon consiglio, incoraggiava le partorienti ad accogliere il dono della maternità e di una nuova vita.
Cercava di trovare un posto accogliente per le giovani abbandonate, ai poveri provvedeva cibo e denaro avuto in elemosina dai ricchi. La gente del popolo l’ammirava per la sua vita evangelica e per il potere di ottenere guarigioni da Dio, lo chiamava “Gesù cristiello” (piccolo Gesù Cristo).
Il Papa Pio IX, che gli era amico, lo chiamava ‘il pazzo della Beata Vergine’, veniva consultato dall’arcivescovo di Napoli, cardinale Sisto Riario Sforza e anche dal re Ferdinando II di Borbone.
La sua giaculatoria che proponeva a tutti era: “Lodiamo sempre insieme col Figlio, la dolce Madre del Buon Consiglio”.
Quando Napoli fu colpita dal colera, P. Modestino non si risparmiò e accorreva in continuazione al capezzale degli ammalati nelle loro case confortando ed aiutando tutti.
Ma indebolito dai continui digiuni a cui si sottoponeva e il contatto con i contagiati, fece sì che anche lui si ammalasse e il 24 luglio 1854 con il conforto dei suoi confratelli e il dolore di tutto il rione “Sanità” rese la sua anima a Dio.
Il suo corpo riposa nella Basilica di Santa Maria della Sanità in Napoli. Il 29 gennaio 1995 Papa Giovanni Paolo II, lo ha proclamato Beato.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Modestino di Gesù e Maria, pregate per noi.

*Sante Niceta ed Aquilina - Martiri in Licia (24 Luglio)

Appaiono negli Atti oltremodo favolosi di San Cristoforo, e potrebbero essere una pura invenzione dell'autore di essi.
Erano state mandate nella prigione ove era detenuto San Cristoforo per sedurlo e farlo apostatare dalla fede cristiana.
Trovatolo invece immerso nella preghiera, esse stesse furono vinte dalla grazia e si professarono cristiane.
Dopo una serie di prodezze tra l'altro danneggiarono il tempio pagano con uno stratagemma furono decapitate.
Tutto ciò sarebbe accaduto sotto Decio (250-53) in una città non identificata della Licia.
I sinassari bizantini le commemorano al 9 maggio, insieme con San Cristoforo, mentre il Martirologio Romano dedica loro un elogio al 24 luglio.

(Autore: Giorgio Eldarov – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Niceta ed Aquilina, pregate per noi.

*Beati Nicolao Garlick, Robert Ludlam e Riccardo Simpson - Martiri (24 Luglio)
Martirologio Romano: A Derby in Inghilterra, Beati Nicola Garlick, Roberto Ludlam e Riccardo Simpson, sacerdoti e martiri, che, condannati a morte per il loro sacerdozio durante il regno di Elisabetta I, dopo molte fatiche e tribolazioni raggiunsero sul patibolo le gioie del cielo.
Appaiono negli Atti oltremodo favolosi di s. Cristoforo, e potrebbero essere una pura invenzione dell'autore di essi.
Erano state mandate nella prigione ove era detenuto San Cristoforo per sedurlo e farlo apostatare dalla fede cristiana. Trovatolo invece immerso nella preghiera, esse stesse furono vinte dalla grazia e si professarono cristiane.
Dopo una serie di prodezze - tra l'altro danneggiarono il tempio pagano con uno stratagemma - furono decapitate.
Tutto ciò sarebbe accaduto sotto Decio (250-53) in una città non identificata della Licia. I sinassari bizantini le commemorano al 9 maggio, insieme con San Cristoforo, mentre il Martirologio Romano dedica loro un elogio al 24 luglio.

(Autore: Giorgio Eldarov - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Nicolao Garlick, Robert Ludlam e Riccardo Simpson, pregate per noi.

*Beato Paolo Yi Do-gi - Martire (24 Luglio)  
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Coreani" (Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni) - Senza data (Celebrazioni singole)

Cheongyang, Corea del Sud, 1743 – Jeongsan, Corea del Sud, 24 luglio 1798
Paolo Yi Do-gi aderì al cattolicesimo, ma dovette trasferirsi più volte insieme alla sua famiglia a causa delle minacce. Stabilitosi nella cittadina montana di Jeongsan, si guadagnò da vivere come vasaio, finché la polizia non venne ad arrestarlo mentre lavorava.
Morì a causa delle numerose percosse e torture subite il 24 luglio 1798. Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Paolo Yi Do-gi nacque a Cheongyang, nell’antico distretto di Chungcheong, nel 1743. Benché non sapesse leggere, comprese pienamente le virtù cristiane, ad esempio usando le sue poche sostanze per aiutare l’evangelizzazione dei non credenti. Minacciato a causa della sua fede, si spostò di città in
città, fino a trasferirsi da Cheongyang a Jeongsan, in montagna, insieme alla sua famiglia. Lì impiantò una fornace e prese a lavorare come vasaio.
Tuttavia, i cattolici coreani furono nuovamente in pericolo quando, nel 1797, esplose la persecuzione Jeongsa. Un vicino non credente andò da Paolo e lo minacciò: «Riferirò alla polizia che tu sei un capo dei cattolici».
Sua moglie, terrorizzata, gli chiese di fuggire, ma lui rispose di non voler andare contro il volere di Dio, anche per non essere di cattivo esempio per i neofiti.
L’8 giugno 1793, mentre Paolo stava lavorando in casa, i poliziotti fecero irruzione per arrestarlo, trovando un crocifisso e alcuni libri religiosi. Lo presero a botte e gli chiesero dove si trovassero altri cristiani, ma lui rimase in silenzio.
Trasferito all’ufficio governativo di Jeongsan, Paolo venne ripetutamente interrogato e torturato. A volte veniva condotto nella piazza del mercato, per essere umiliato pubblicamente, ma non si piegò mai, anzi, espose coraggiosamente la dottrina della Chiesa al magistrato che voleva obbligarlo ad apostatare.
Col passare del tempo, soffriva sempre più la fame e il freddo, ma resisteva pensando continuamente a Gesù. Affermò di aver sentito un angelo dirgli: «Il Signore è con te», e si sentì circondato da una beatitudine celeste.
Il primo giorno del 1798, Paolo venne condotto dal magistrato e passò attraverso nuovi interrogatori e torture. Gli venne proposto di salvarsi accettando una carica ufficiale, ma ribatté: «Anche se mi deste l’intero villaggio, non posso rinunciare al mio Dio». Per evitare di essere tentato, rifiutò perfino le visite della moglie e degli altri fratelli nella fede.
Un mattino, i poliziotti vennero ad avvisarlo che era il giorno della sua esecuzione; ne fu felice. Condotto al terreno d’esecuzione di Jeongsan, subì le ennesime torture, mentre gli astanti si univano agli scherni da parte della polizia, ma ribadì che non avrebbe mai tradito la religione cattolica. Con gli occhi al cielo, gridò a gran voce: «Santa Madre Maria, ti saluto».
Paolo era così malridotto a causa delle percosse che svenne un paio di volte e aveva le gambe spezzate. Venne lasciato così per due giorni, finché il magistrato non ordinò di ucciderlo, nel caso non fosse ancora morto.
I poliziotti ridussero il suo corpo così a pezzi che non aveva più forma umana. Era il 24 luglio 1798 (12 giugno del calendario lunare) e Paolo aveva cinquantacinque anni.
In base agli ordini del magistrato, il suo corpo venne seppellito. Circa una settimana dopo, alcuni cattolici di Jeongsan vennero a cercarlo, lo prelevarono e gli diedero cristiana sepoltura.
Paolo Yi Do-gi, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Paolo Yi Do-gin, pregate per noi.

*Beato Pasquale Alaez Medina - Religioso e Martire (24 Luglio)  
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Missionari Oblati di Maria Immacolata" Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole)
Villaverde de Arcayos, Spagna, 11 maggio 1917 - Pozuelo de Alarcon, Spagna, 24 luglio 1936
Beatificato il 28 ottobre 2007.

Dati biografici
Pascual Aláez Medina nacque a Villaverde de Arcayos, provincia e diocesi di León, l’ 11 Maggio del 1917 e il giorno 17 dello stesso mese è stato battezzato nella chiesa parrocchiarale del suo paese. I suoi genitori, Pedro e Candida, costituivano una famiglia di modesti agricoltori, “di buona condotta morale e religiosa“.
Nell’origine della sua vocazione ha grande influenza la profonda vita cristiana della sua famiglia e la sua stretta relazione col parroco del paese.
A Settembre del 1929 intraprende i suoi studi superiori nel seminario minore dei Missionari Oblati a Urnieta Nell’estate del 1934 passa al noviziato di Las Arenas dove fa la sua prima professione religiosa il 16 di Luglio di 1935. Subito dopo fu mandato a Pozuelo per iniziare gli studi ecclesiastici. Appena aveva finito il suo primo corso e solo sei giorni dopo avere rinnovato, coi suoi compagni di corso, per la prima volta i voti religiosi, fu fermato con tutti i membri della comunità. Due giorni più tardi fece parte della lista dei primi sette Oblati ed un laico che furono portati via di notte dall convento ed assassinati a Casa de Campo di Madrid.

Virtù
La relazione del noviziato dice di Pascual che era un uomo uniforme e costante, coscienzioso e puntuale nei suoi doveri nei più minimi dettagli. Opera con riflessione.  Sebbene un po’ timido, è aperto coi suoi compagni e franco coi suoi superiori. È docile e ha buon spirito. Giovane di profonda pietà, lavorò bene nella crescita interiore durante il noviziato. Sogna le missioni e, benché all’inizio
vacillasse qualcosa nella sua vocazione, presto si confermò in lei e, oggi, è deciso ad essere Oblato di María Immacolata.
Una volta passato allo Scolastivato, si dice di lui che “era affabile e buono, pio, devoto alla Vergine di Yecla (patrona del suo paese natale) e che sognava di essere missionario”. Un Oblato del suo paese attesta che condivideva il fervore religioso e l’entusiasmo missionario che allora si viveva e respirava in quella comunità di formazione.
Una testimone, donna Filomena Alonso Salas, nipote del parroco D. Pedro Salas, parlando dei due Servi di Dio Justo e Pascual, dice che “erano persone molto semplici, di buon trattamento con tutti, sempre disposti ad aiutare tutto il mondo, assidui ad accorrere alla chiesa tutti i pomeriggi per stare in silenzio davanti al Sacrario. Il suo comportamento, durante le vacanze, era straordinario, aiutava il sacerdote ed assistiva a Messa tutti i giorni“. La stessa testimone aggiunge che la madre di Pascual era di comunione giornaliera e che tanto ella come quella di Justo, erano “Maríe dei Sacrari”.

Martirio
Sempre donna Filomena ci dice: “Io andai a Pozuelo per informarmi sul martiriodei due Servi di Dio (Justo e Pascual). Il religioso che ci ricevette ci spiegò che i miliziani entrarono nel convento e poi, dopo aver rinchiuso in una stanza tutta la comunità, lessero una lista di sette Oblati  e che i primi della lista erano Justo e Pascual”.
Il processo del martirio è completamente simile, in tutti i suoi passi, detenzione, “estrazione” del convento, data e momento di esecuzione, a quella dei suoi sei compagni ed a quella del Servo di Dio Candido Castán San José, assassinati all’alba del 24 di Luglio del 1936. La sua morte è affermata, confermata e ratificata con le stesse attestazioni e documenti processuali.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Pasquale Alaez Medina, pregate per noi.

*Beato Pietro de Barellis - Cardinale (24 Luglio)

D’illustre famiglia francese, il Beato Pietro de Barellis, fu procuratore generale dell’Ordine Mercedario e legato pontificio.
Degnosamente compì le sue mansioni e Papa Nicola IV° lo nominò cardinale Diacono di Santa Romana Chiesa.
Famoso per i meriti accumulati, tornando a Roma, morì santamente ad Ascoli Piceno dove il suo corpo riposa.
L’Ordine lo festeggia il 24 luglio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro de Barellis, pregate per noi.

*Beato Saverio (Javier) Bordas Piferer - Sacerdote Salesiano e Martire (24 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” - Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
San Pol de Mar, Spagna, 4 settembre 1914 – Barcellona, Spagna, 23 luglio 1936

Martirologio Romano:
Sempre a Barcellona, Beato Saverio Bordas Piferrer, religioso della Società Salesiana e martire, che con il proprio martirio testimoniò l’esempio di vita di Cristo maestro.
Nacque in San Poi de Mar (Barcellona) il 24 settembre 1914 in seno ad una famiglia profondamente cristiana.
La sua infanzia trascorse in un ambiente molto salesiano.
A sei anni entrò nel collegio di Mataro.
Emise i voti religiosi nel 1932 e fu inviato a Roma per gli studi di Filosofia presso l'Università Gregoriana.
Insieme con Don Félix Vivet rientra in Spagna per le vacanze il 17 luglio 1936.
A Sarria (Barcellona) fu sorpreso dallo scoppio della guerra civile.
Il 23 tentò di rifugiarsi in una proprietà dei genitori, ma fu riconosciuto da qualcuno e, trovandogli addosso il passaporto e la carta d'identità religiosa, fu fucilato sul posto.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Saverio Bordas Piferer, pregate per noi.

*Santa Sigolena - Religiosa (24 Luglio)
VII secolo
Martirologio Romano:
Nel territorio di Albi in Aquitania, in Francia, Santa Sigolena, religiosa.
Santa Sigolena (in francese Sigolène o Sigoulène) è commemorata dal Martyrologium Romanum che la qualifica quale religiosa.
In realtà pare che non fosse stata una comune monaca, bensì la fondatrice e prima badessa del monastero di Troclar, vicino a Lagrace, nella regione francese della Linguadoca.
Assai incerta è l’epoca in cui visse la Santa, collocabile tra il V e l’VIII secolo, anche se gli storici propendono generalmente per il VII secolo.
Poco si sa dunque su di lei dal punto di vista storico, mentre prolificano invece le leggende sul suo conto.
Ancor oggi Santa Sigolena è venerata nella cattedrale di Albi, ove sono conservate le sue reliquie, ed inoltre anche la località di Sainte Sigolène tramanda la memoria del suo nome.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Sigolena, pregate per noi.

*Beata Teresa del Bambino Gesù e di San Giovanni della Croce (Eusebia Garcia) - Carmelitana, Martire (24 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartengono:
“Beate Martiri Spagnole Carmelitane Scalze di Guadalajara” (24 luglio)
Ulteriore scheda:
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Mochales (Guadalajara), 5 marzo 1909 – Guadalajara (Spagna), 24 luglio 1936
Martirologio Romano:
A Guadalajara in Spagna, Beate Maria del Pilar di San Francesco Borgia (Giacoma) Martínez García, Teresa di Gesù Bambino (Eusebia) García García e Mariangela di San Giuseppe (Marciana) Voltierra Tordesillas, vergini dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martiri, che in tempo di persecuzione raggiunsero la corona del martirio acclamando con gioia Cristo Sposo.
La vicenda del martirio di suor Teresa del Bambino Gesù e di San Giovanni della Croce, al secolo Eusebia García y García e delle sue due compagne di martirio, suor Maria Pilar di S. Francesco Borgia, al secolo Jacoba Martínez García e suor Maria degli Angeli di San Giuseppe, al secolo Marciana Valtierra Tordesillas, tutte e tre appartenenti all’Ordine delle Carmelitane Scalze, dicevamo il loro martirio è compreso nella grande carneficina che insanguinò la Spagna con la Guerra Civile del 1936-39.
Per opportunità politiche, per lungo tempo, si è steso un velo su quegli sconvolgimenti che coinvolsero una parte della cattolicissima Spagna, ma soprattutto la Chiesa di quelle diocesi, che fra vescovi, sacerdoti diocesani, seminaristi, religiosi e suore di tanti Ordini monastici, subì la perdita di più di 7.300 membri, tutti martiri della barbarie anticattolica, che si era scatenata con la Guerra Civile, fra nazionalisti e miliziani rossi.
Nel cieco furore della caccia ai religiosi, non si badò se fossero sacerdoti o suore, se impegnati nelle corsie degli ospedali o maestri indiscussi del sapere nelle scuole, ne se fossero molto vecchi e malati o giovani studenti dei seminari e collegi, ne suore chiuse nel silenzio della clausura o dedite all’assistenza di orfani; la loro morte fu voluta perché membri della Chiesa e questo dà loro il titolo di martiri.
Cambiate le situazioni politiche in Europa, si stanno portando alla luce e quindi alla conoscenza del popolo cattolico, queste eroiche figure, che hanno subito sofferenze e morte violenta, in Spagna come in altre Nazioni europee; precorrendo il grande disastro della Seconda Guerra Mondiale, con tanti altri martiri uccisi dai regimi totalitari che si sono succeduti, nell’insanguinato Novecento.
Papa Giovanni Paolo II, durante il suo lungo pontificato ne ha beatificati a centinaia e tanti stanno per esserlo, con il completamento delle Cause accertanti il martirio, le virtù, i miracoli di ognuno.
E il 29 marzo 1987, nella Basilica di San Pietro, beatificò le tre monache professe dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, fissandone la festa comune al 24 luglio.
Per ognuna c’è una scheda propria in questo sito, con un’introduzione unica, che comprende anche la parte finale della loro vita, perché Dio volle che morissero insieme.
La città di Guadalajara il 22 luglio 1936, cadde in mano ai miliziani rossi e la carmelitane del monastero di S. Giuseppe, dovettero abbandonarlo in abiti civili e a gruppi riparare presso conoscenti.
Il 24 luglio le tre religiose mentre cercavano un luogo più sicuro, furono riconosciute per strada da una miliziana rossa, la quale incitò i suoi compagni che erano con lei, a sparare su di loro. La prima a cadere fu Maria Angeles che morì quasi subito; poi fu la volta di Maria Pilar che morì dissanguata alcune ore dopo, nell’ospedale della Croce Rossa dove era stata trasportata, invocando da Dio il perdono per i suoi uccisori; infine per ultima venne uccisa la più giovane, Teresa del Bambino Gesù, la
quale dopo aver resistito a delle offerte disoneste, fu fucilata presso il cimitero, mentre gridava: “Viva Cristo Re”.
Per fortuna in tanto orrore che imperversava nelle città e paesi, i corpi furono subito raccolti e identificati e quindi poterono essere conservati e il 10 luglio 1941 debitamente riconosciuti; due giorni dopo le salme vennero trasferite solennemente al loro Carmelo di Guadalajara, dove sono state sempre oggetto di devozione dei fedeli, che vi giungono in pellegrinaggio.
Il primo processo per il riconoscimento del martirio, venne fatto a Guadalajara - Siguenza negli anni 1955-58; dopo il ‘silenzio’ imposto a tutte le Cause relative ai martiri della Guerra Civile spagnola, essa fu ripresa nel 1982 e dopo tutti i successivi processi positivi, si giunse alla beatificazione come detto all’inizio.
Si aggiunge qualche cenno sulla vita di Teresa del Bambino Gesù: Eusebia García y García, nacque a Mochales (Guadalajara) il 5 marzo 1909; fu educata in famiglia e a sette anni fu portata a Siguenza in casa dello zio materno, Florentino García, sacerdote, canonico e segretario del vescovo, che morì anch’egli vittima della persecuzione di quel tempo.
Come l’altra consorella Maria degli Angeli, anche Eusebia fu affascinata dalla lettura di “Storia di un’anima” della grande mistica carmelitana francese Santa Teresa di Lisieux; con la guida dello zio s’impegnò per una vita religiosa, fra i nove e gli undici anni fece il voto di castità.
Ricevé un’educazione appropriata presso le Orsoline; quando lasciò il Collegio, con la guida del santo zio entrò nel Carmelo di Guadalajara il 2 maggio 1925, ricevendone l’abito e assumendo il nome di Teresa del Bambino Gesù e di S. Giovanni della Croce, il 4 novembre dello stesso anno.
Fece la prima professione con questo programma di vita: “Canterò in eterno le misericordie del Signore. Il mio motto: l’amore si paga con l’amore…”.
Il 6 marzo 1936 fece la professione solenne, continuando nel cammino della perfezione con un impegno straordinario, stabilendosi delle norme di vita molto precise, dando ad ogni atto il sigillo di tre grandi realtà: “Amore, fedeltà, abbandono”.
Aveva un’anima di artista e grande musicista era felice di darsi e consumarsi per il prossimo. Sentendo approssimarsi la bufera della rivoluzione che l’avrebbe travolta insieme alle sue consorelle, affermò: “Potessi ripetere questo grido di ‘Viva Cristo Re’ sotto la ghigliottina”.
E questa esclamazione fu veramente l’ultima cosa che poté proferire, quando fu uccisa a soli 27 anni.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Teresa del Bambino Gesù e di San Giovanni della Croce, pregate per noi.

*San Vittorino di Amiterno - Martire (24 Luglio)

Etimologia: Vittorino = vincitore, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Ad Amiterno in Sabina sulla via Salaria, San Vittorino, martire.
É ricordato nel Martirologio Geronimiano il 24 luglio con un latercolo alquanto confuso nei diversi codici, ma la cui ricostruzione è molto facile; da esso apprendiamo che il martire era sepolto e venerato sulla via Salaria ad ottantatré miglia da Roma nella città di Amiterno (oggi San Vittorino).
Il Martirologio Romano invece lo commemora il 5 settembre; ma questa data e la notizia relativa sono arbitrarie, confuse e nate sotto l’influenza della letteratura agiografica, passata nei martirologi storici e specialmente in quello di Adone.
Si è creato così attorno al nostro martire un groviglio di date, di disparate notizie e di parentele; oltre alle due date sopra indicate, Vittorino è ricordato ancora all’8 gennaio e al 15 aprile, ma con altre attribuzioni.
Nella leggendaria passio dei Santi Nereo e Achilleo il nostro Vittorino è associato ai martiri Marone e
Eutiche, sarebbe morto "apud eum locum qui Cotilias appellatur", ma sarebbe stato sepolto ad Amiterno.
Nella Vita SS. Victorini et Severini invece è confuso con un V. eremita nel Piceno ed è presentato come fratello del vescovo Severino di Septempeda e vescovo a sua volta di Amiterno, ma non martire.
Adone, infine, sfruttando le due precedenti leggende e pur ritenendolo martire, lo presentò come fratello di Severino, apostolo del Norico e sepolto a Napoli.
Prescindendo da tutta questa zavorra letteraria, rimane soltanto valido e sicuro il latercolo del Geronimiano che attesta l’esistenza del martire Vittorino di Amiterno, confermata anche dai monumenti archeologici.
Infatti, gli scavi eseguiti dalla Commissione di Archeologia Sacra nel cimitero di San Vittorino, hanno rimesso in luce, nella cripta in cui era il sepolcro del martire, dei reperti che permettono di seguire i successivi lavori di abbellimento della cripta stessa, dal sec. IV al VII, fino alla costruzione della basilica ad corpus.
Tra questi monumenti spicca per il suo valore storico una mensa di altare con la seguente iscrizione databile al sec. V: "Iubente Deo Christo nostro-sancto martyri Victorino- Quodvultdeus epis (copus) de suo fecit".
Da Amiterno il culto di Vittorino si diffuse nell’Italia centrale e nel secolo X le sue reliquie furono portate anche a Metz e depose nella chiesa del monastero di San Vincenzo.

(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittorino di Amiterno, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (24 Luglio)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

Torna ai contenuti